Il 2 luglio 1990 il marco prende possesso della Germania Democratica, il 3 Grass piange con l’Italia l’eliminazione al Mondiale (si rifarà con la Germania campione a una settimana dal marco unico, ma senza sentimento), il 4 incontra Carlo Feltrinelli (“soffre docilmente una madre piena di vitalità e la leggenda paterna... forse un po' troppo amichevole per questo mestiere”), che lo rivuole in scuderia. È il diario di un anno convulso, col Mondiale che la Germania vince e la riunificazione. Grass lo vive scontento. Ritrova con piacere la patria casciuba a Danzica e i suoi cugini con le loro tradizionalissime famiglie, e ipotizza un “distacco dalla Germania”, niente di meno, “lento e non senza dolore, con l’aiuto della lingua tedesca”. Ma sempre di fretta. Con la disperazione di uno che non ha mai sofferto il disamore e la disattenzione.
A Vale de Eiras, tra i monti del Portogallo al confine con la Spagna, dove ha casa in un complesso di ville per stranieri, G.Grass cucina, disegna quello che cucina, interra in tre settimane a Capodanno 87 piante e si disintossica della politica tedesca – ma si pianta col freddo, dopo nove settimane di piogge? Legge anche Rushdie, “I versetti satanici”, che trova “romanzo favoloso” È un Capodanno speciale, cinquanta giorni dopo il crollo del Muro. Poi vola in patria, dove disegna, incide, fa mostre, cura pubblicazioni, gestisce case editrici, fa musica, si disgusta dei “Versetti satanici”, scrive e dà importanti conferenze, che le radio ritrasmettono, partecipa a dibattiti televisivi, polemizza con Augstein e lo “Spiegel”, difende Christa Wolf, con ragione, che faceva la spia per la Stasi, si diletta con la famiglia allargata, quattro mogli e otto figli, di cui sei suoi, soprattutto con la più piccola, Nele, tiene letture pubbliche della tragedia “Die Plebejer proben den Aufstand”, sempre con la valigia in mano, benché abbia quattro case, a Behlendorf, a Berlino, a Mǿn (Danimarca), a Vale de Eiras, sempre nell’attualità, qui sul cambiamento climatico oltre che sulla riunificazione, su è giù per la Germania, ogni due giorni un convegno o un congresso della Spd, il partito socialista, con tantissime persone a lui note, contro l’unificazione-annessione (Anschluss). Mentre scrive “Il richiamo dell’ululone”, che pubblicherà due anni dopo, in Germania e da Feltrinelli. Ma da lontano: il dispetto è forte contro questa nuova Germania (a cui è probabile che la storia darà torto, anche se la profetizzata pauperizzazione dell’Est non c’è stata: Grass non l’avrebbe voluta che egualitaria e non annessionista), Brandt resta un nome, una delusione Oskar Lafontaine, un fantasma il suo delfino Schröder. C’è un che di irrimediabile in questo diario, ma per la storia – l’uomo è rimasto ben attivo, ha avuto il Nobel, cui si concorre, ha riaperto il “com’eravamo” del nazismo, a lungo rimosso.
Grass s’incontra, dialoga, polemizza con un numero inverosimile di persone ogni giorno. Per un diario che solo con un ricco apparato di note potrebbe coinvolgere il lettore. Salvo dirsi ogni tanto depresso. O vecchio a 62 anni. Con una terza moglie. Tanti manager e politici vorrebbero avere altrettanta energia. Lo scrittore è un egotista, anche il più impegnato – una condizione su cui bisogna ponderare il suo giudizio. Questo diario è il cantiere dell’“Ululone”, l’unico motivo di interesse. A parte la fretta compiaciuta. L’“Ululone” sarà il romanzo senile, cimiteriale, di una polacca e un tedesco, metaforico forse, ma qui Grass, pur trattando ogni giorno mille cose, e ritrovando Danzica in visita quasi ufficiale, non ha una parola per i cantieri celebrati, Solidarnosc, il papa polacco, che hanno reso possibile la unificazione tedesca. Vissuta alla fine di questo diario come un trambusto, lo scompiglio delle abitudini: Grass sarà stato il ritorno del bravo “Michel” della tradizione tedesca, l’uomo ordinario senza orizzonti.
Da leggere con, e per, le note. Poco si può leggere senza.
Günter Grass, Da una Germania all’altra. Diario 1990, Einaudi, pp. 234 € 20
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