Se ne era parlato, poco, per farne un titolo i merito ai ministri di Monti: la maggior parte di loro ha rinunciato a posizioni di prestigio e compensi milionari, al culmine di difficili carriere, per un incarico di breve tempo e compensi da dirigente di prima nomina. Quelli che volevano mantenere le vecchie posizioni, come Profumo e Gnudi, sono stati fatti recedere. Ora, sempre per la stessa superiore moralità, l’interrogativo viene fatto circolare: com’è possibile che tanti abbiano rinunciato alla carriera di una vita per un incarico a tempo e una remunerazione irrisoria? Viene fatto circolare nei grandi giornali, che sono l’elettorato (collegio elettorale) del governo Monti.
Era una delle novità più stridenti del governo dei tecnici, ma sottaciuta: di un improbabile neo francescanesimo. Nel cuore degli affari, Milano e Torino. Nel cuore del potere, la banca. Ora se ne comincia a parlare. È un avvertimento a Monti, diventato troppo forte per il partito della crisi? Monti sta esaurendo il credito, con i licenziamenti dopo il blocco delle pensioni, e la stangata fiscale in arrivo tra maggio e novembre?
La cosa si può proporre anche come quesito morale: è più morale il ricco epulone che banchetta o il banchiere che, dice, rinuncia alla banca? L’Italia ha avuto a presidente del consiglio per molti anni l’uomo più ricco del paese. Che però aveva la faccia tosta di non rinunciare ai suoi beni e anzi di esibirli. Ora si affida a un gruppo di banchieri che hanno rinunciato a superstipendi e cointeressenze per una retribuzione da statale, alcuni anche con alloggio di servizio, in caserma.
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