Uscendo in piazza della Maddalena a Roma all’una per lo yoghurt gelato, il caffè e i quattro passi, nel Duemila s’incontravano ventuno postulatori. In una passeggiata di mezzo chilometro, dieci minuti in tutto, il tempo di una sigaretta: dalla Maddalena all’Argentina sono un paio di centinaia di metri, dall’Argentina alla Maddalena altrettanti. Per prima la ragazza minuta con due cristi baffuti, e una montagna di cani anch’essi voluminosi, in digestione o stanchi, che chiedono spicci col bicchiere, come a Washington – punkabbestia? non hanno anelli al naso. All’angolo col Pantheon, passando davanti a “Nazzareno”, la zingara giovane col bambino in braccio addormentato. Si tiene all’ombra del “Sole”, l’albergo più antico. Al lato di fronte della piazza, sulla destra guardando il Pantheon, Umberto D., uguale per età e compostezza, però donna. Un ragazzo vuole una sigaretta uscendo da Pascucci, lo specialista dei frullati. All’uscita da Feltrinelli quieto il venditore di “Terre di mezzo”, dignitoso. Che prende i suoi soldi e dà il resto. Davanti alla libreria un banchetto contro il buco nell’ozono, o quello che è: bisogna, firmando, fare un’offerta. Anche tre ragazzi col gilet verde e la scritta Greenpeace vogliono una firma e un obolo. Tra l’edicola e il teatro Argentina staziona la matrona africana, o americana nera, che si dichiara felice e si parla. Leggermente avanti rispetto alla ragazza fragile bionda che sta in ginocchio con le braccia a v, la testa leggermente girata, a imitazione dei quadri di pietà. Il madonnaro è in fase cupa, avrà una caduta degli zuccheri?, accovacciato contro il teatro, era ciarliero, e faceva bei quadri sul marciapiedi che poi cancellava.
Nello spiazzo davanti alla Chiave, al ritorno per San Nicola de’ Cesarini, c’è “il Pazzo”: signoreggiava in piazza Barberini, tanto più gradevole, con la fontana in mezzo, forse ha cambiato domicilio, oppure arriva qui con l’8, il tram di mezza città. Abbigliato di fantasia, canta muto, balla a un suo ritmo, e non chiede niente, ma un piattino l’ha messo. Peripatetico s’incontra l’orfano, “di padre e di madre”, che è un po’ down, e quindi raccoglie, non fosse per l’odore, chi lo accudisce non lo fa lavare, che d’estate abbatte a distanza. Il rumeno professionista del violino sembra suoni per sé, solo nella strada: è un robusto, suona romantico senza smorfie. Davanti alle vetrine delle pianete dorate e dei rosari di madreperla, regali per religiosi, questa stradina ora isola pedonale di sampietrini dorati ne è specialista - anche gli ombrelli sono cari, di solido acciaio, si vede che i religiosi possono spendere. (i sampietrini in realtà sono neri ma la malta è biancastra, piccola geniale idea). Nella piazza della Minerva, sotto l’elefantino, c’è il mimo, in attesa dell’obolo dei clienti del grande albergo che ospitava Stendhal, di fronte all’ex palazzo dell’Inquisizione, ora biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”. Oggi sono tre, benché faccia caldo, è luglio, con trucco pesante e abiti a balze e piegoni – bisogna studiare da mimo per chiedere l’elemosina. Uno strimpellatore stonato all’angolo col Pantheon suona a sprazzi, su un violino sverniciato, incerto forse sulla sua abilità.
Roma è sempre stata una città di chiese e mendicanti, tanto più in un giubileo come quello del millennio. Dodici anni dopo, facendo il giro inverso, da Largo Argentina verso il Pantheon, sempre per una pausa meridiana, s’incontrano gli stessi, o gli analoghi Non c’è più “il Pazzo”, questione d’età? Un latino aziona col pedale una base musicale dal suono di pianola, sulla quale agita due maracas senza effetto. Il mimo è ora invisibile, al muro del grande albergo, e fa ciao con la mano, senza testa – ha gli occhiali, la bombetta e la sciarpa ma non la testa. La zingara giovane è bellissima, e tiene ora una bambina per la mano, bellissima anch’essa, riesce per questo ad attrarre ancora l’occhio della gente ma distratto. Al posto di Umberto D. c’è una signora altrettanto dignitosa che dice a tutti: “Sto morendo di cancro”. Davanti alle casse di Feltrinelli il venditore discreto di “Terre di mezzo” ha lasciato il posto a un barbone coi cartoni, ma seduto, ha uno sgabello, e sembra che abbia un tavolinetto davanti, dev’essere stato un usciere, o un dirigente. Tra l’edicola e il teatro non s’incontra più la ragazza fragile inginocchiata con le braccia a v, ormai da tempo. La matrona c’è sempre, nera, grande e felice (“sono felice, aiutatemi”), solo più giovane. Anche il madonnaro sembra ringiovanito, o ha la pressione ora buona, e sa quello che succede, di Marchionne e la Merkel, allegro, ingrassato. Dappertutto viene incontro l’africano giovane e ben vestito che offre
calzini per poi chiedere in un soffio un euro per mangiare, un caffè, una moneta. Sono anglofoni e francofoni di origine, ma tutti simili: ben vestiti, della stessa corporatura, proporzionata, la taglia media cui siamo assuefatti del giovane europeo, i tratti del viso prosciugati, caucasici benché neri. Apparterranno alla stessa tribù, interstatuale, tra il Ghana e il Togo, o il Burkina Faso, o la Costa d’Avorio, di cui non si riesce a individuare l’etnia - oppure sono scelti da un’organizzazione, con un severo criterio di marketing. Ma bisognerebbe averne la curiosità. Che non c’è più: i postulanti non si contano ora e non si distinguono, si fanno i quattro passi senza guardare nessuno in faccia, aiutati dalla sordità, lieve, quel tanto che basta.
giovedì 1 marzo 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento