Libro raccapricciante, deprimente. Per due terribili conferme che dà. Della faziosità, perfino violenta, di Berlinguer e del suo gruppo dirigente. Che si direbbe fuori posto nell’Italia del 1970-1980, così bisognosa di unità nazionale, e invece fortissima - perfino costitutiva poiché perdura. E della schizofrenia, per cui i puri e forti del grande movimento comunista si lasciavano condurre da anticomunisti professi, Scalfari, Evangelisti, Maccanico, o da intelligentoni alla Umberto Cavina (?) o alla Giovanni Galloni. Alla corda di Spadolini. E anche di Visentini. Nonché di Andreotti, il loro nume – il Pci ha santificato Moro, ma qui c’è solo Andreotti. Solo escluse le sinistre. Di Amendola, perfino di Natta. Craxi poi li faceva infuriare, smettevano per lui il perbenismo.
Il segretario di Berlinguer testimonia un’indigenza politica che si riterrebbe impossibile, se non ci fosse stata – qui non si parla, nemmeno se ne accenna, del patrimonio di voti disperso.
Antonio Tatò, Caro Berlinguer
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