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Amore – È anzitutto amore di se stessi. Accettazione. Che quando manca diventa disamore, un vuoto nella vita, seppure nella pratica sessuale - il vecchio tipo del single meridionale, mammone, galantuomo, cioè inetto alla vita.
È un moto spontaneo. Non regolato, disinteressato – non di convenienza né tattico, mirato a altro fine.
Un moto spontaneo dello spirito, vorrebbe la frase fatta. Dello spirito che però comprenda il corpo, giacché è mosso da riflessi organici ben distinti, e li muove.
Non è il puro spirito della riflessione, della filosofia. Di cui invece è la vittima. Si può dire che la riflessione uccide (nega, cancella) l’amore? Sì, alla sommatoria sì. Su basi storiche e statistiche. È psicologicamente (individualmente) l’origine e l’effetto del suo indebolimento. È motivo oggi della sua scomparsa, la manifestazione forse peculiare della secolarizzazione weberiana, del disincanto.
Lo muove la bellezza. Anche particolare o speciale, minima, circostanziale: un tratto, un tono, uno sguardo, un momento o un’occasione.
Nella polemica Marx-Proudhon il secondo sosteneva che “l’oggetto di ogni passione è necessariamente analogo alla passione stessa, una donna per l’innamorato, il potere per l’ambizioso, l’oro per l’avaro, una corona d’alloro per il poeta, il profitto per l’industriale”. Marx ribatteva che no, “l’oggetto immediato dell’emulazione industriale è il prodotto e non il profitto”, ma concordava: “L’oggetto immediato dell’innamorato è la donna”. Prosa maschia, senza i lugubri sottintesi del neutro inglese, amato-a eccetera. Ma vorrà pure dire che “oggetto dell’innamorata è l’uomo”? È possibile, l’amore una volta lo facevano le donne.
Le donne vogliono che si parli loro soltanto di amore, annota Voltaire. I diciannove ventesimi delle fantasticherie delle donne si riferiscono all’amore, aggiunge Stendhal, o Balzac. Ora forse non ne hanno più voglia. Come nei racconti di Hemingway, il climaterio è cronico: l’Islandese delle Operette morali, “disperato di piaceri come di cosa proibita alla nostra specie”, che pareva un pessimista leopardiano, è ora qui - il piacere è in limine, direbbe il teologo, da indiani del tantra perfetto, eunuchi. Ma “ogni amore rende felici, compresa l’infelicità in amore”: questo lo dice una donna, Lou Salomé, che ne ha insegnato molto, dell’uno e dell’altra, a poeti e filosofi.
Bellezza – Più che canonica, è una segreta corrispondenza. Psicologica, ambientale, storica.
La bellezza di Dostoevskij che “salverà la terra” è la bellezza dei corpi.
Corpo – Lo scandalo Casati fu nel 1970 un trionfo del corpo, in ogni suo dettaglio, elargito ai più e inconsutile, quando per i moralisti era putridume. Il corpo di Anna Casati s’impose dopo la morte. E se il corpo è lo spirito, come vuole san Paolo, la cosa è intrigante: la carne sarà debole se lo spirito è debole, ma se è forte, allora c’è dietro uno spirito forte.
Immagine – Tra le forme surrettizie del reale che l’immagine ipostatizza quelle amorosa è la più diffusa. In tutte le forme, dal puro angelo alla “Beatrice” - l’“essere dello schermo” – e a quella brutale della pornografia, moltiplicata dalla fotografia. Non solo le vicende esemplari della società dello schermo, anche quelle personali sono vissute in copia, immagini d’immagini.
Il desiderio è visivo. È il pensare di Bruno, “speculare con le immagini”. Kafka ama Felice in fotografia. Joyce lo eccitava l’idea che sua moglie se la facesse qualcun altro, seppure in foto, ci ha scritto su il romanzo. Bataille veniva all’idea che al suo posto ci fosse un altro – finché la moglie, la briosa Sylvia Maklès, attrice, sedicenne, non lo prese sul serio, e a nome suo s’è messa con Lacan, che è un uomo dietro la leggenda (“non c’è che un solo sesso, il femminile”), dopo quindici anni di furiosi amori e una figlia facendosene sposare, sempre come Sylvia Bataille. Le foto del delitto Casati, 30 agosto 1970, prolungarono quell’estate lubriche. E non per le pose scomposte, né per necrofilia, ai più ignota, ma per il desiderio che incarnavano fisico, una voglia d’essere cui la morte aggiunge e non toglie.
Immaginazione - Nello scandalo Casati la lubricità restò ufficialmente interdetta, pur nell’esposizione permanente dei corpi. Si disse provinciale lei, arrivista, troia, impotente lui, malato. Del complesso di Otello, il cialtronesco personaggio di Shakespeare, che gli uomini secondo Wilde porta a uccidere coloro che amano, e pure le donne per la verità. Ma la lussuria di Anna Fallarino Casati era reale, anche senza l’altro o la realtà dell’altro. L’evoluzione conosce di questi casi: ci può essere un organo senza funzione, e viceversa, siamo capaci di fare cose per le quali non siamo dotati, per la voglia. Tra i fringuelli di Darwin ce n’è uno che si sente un picchio, benché non ne possegga, dentro il becco, la lunga lingua: come quello scava i tronchi a caccia d’insetti e li cattura con appositi utensili, la spina di cactus nel becco, lo stuzzicadenti, un rametto, con cui artiglia gli insetti via via che escono dal buco.
Lo scandalo, esaurito l’orrore del primo momento (il marito uccide la moglie, con l’ultimo amante che lui le ha imposto, e si uccide), diventa uno scherzo dell’immaginazione. Dell’assenza d’immaginazione, giacché nella solitudine essa prolifera, ma è la stessa cosa: si fantastica per vezzo onanistico, anche se sulla carne d’altri, o sugli eventi, che non tollera limiti, dinieghi, contrasti. L’immaginazione non soffre la gravità, per quanto questa pesi. È il mondo del desiderio, e come la pornografia, che lo esprime, ha bisogno di nuovi eccessi. È congegno semplice e gratuito di trasgressione incessante. L’immaginazione è potere dissoluto. Che, non storicizzabile, marca pesante la storia, anche degli individui, ma può latitare. Moravia dice che la pornografia è noiosa perché non ha fantasia. Ma la tentazione è sempre stata forte, fin nel deserto. “L’eterno femminino\ ce lo tira su”, assicura Goethe alla fine dei due Faust, tredicimila versi. Ora forse non più, non è detto. Ma Gerardo Segarelli, nomen omen, fondatore degli zoccolanti apostolici, esercitava la continenza dormendo in mezzo alla donne.
Materialismo – “Memento quia pulvis es et in pulvere reverteris”: ricordati che sei polvere, l’unico materialismo è questo della chiesa, quando dimentica di aver magnificato il corpo nella resurrezione.
È il tratto più in comune che il cattolicesimo condivide col Book of Common Prayer anglicano del 1549, che ancora fa testo: “Earthe, to earthe/ ashes, to ashes/ dust, to dust”, terra alla terra, ceneri alle ceneri, polvere alla polvere.
Morte – Non giunge a sorpresa, è qualcosa di noto.
Morte, malattia, povertà e licenza turbarono Budda e Schopenhauer perché fino ai vent’anni essi le avevano ignorate. Altro è il caso se uno, come a tutti succede, li vive dall’infanzia.
Vero – Le forme più riconosciute e stabili di pedagogia prevedono l’obbligo del gioco e la recita. L’obbligo di giocare sembra un controsenso. Più ancora lo sembra, nella pedagogia della semplicità, recitare in teatro, mettersi in maschera. E invece il teatro, per chi lo fa, funziona al contrario: sotto il trucco e i costumi le maschere si abbandonano. L’attore si disinibisce, cioè si libera. Ma non nella prova, la ripetizione, la discussione, no, proprio sulla scena, con i fondali, i costumi e la musica, quando tutto è effettivamente falso, non nella preparazione, accurata, del falso. Il teatro è parte della liberazione - della lotta al “rispetto umano”, si diceva un tempo: delle convenienze, delle disparità sociali.
zeulig@antiit.eu
giovedì 22 marzo 2012
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