A se stessa, “una giovane ricca”, Simone Weil rivolge presto, a vent’anni, un rifiuto pratico: “Resta una favola per te la sventura\ …..\ Sei al riparo di fogli di carta, più massicci\ di bastioni”. Ma è un ricentrarsi: la vita e la riflessione di Simone Weil, ex ricca, insegnante, operaia, combattente di Spagna, è una costante, febbrile, tensione poetica – lirica, epica, tragica. Al di fuori e al di là di questa raccolta delle sue otto poesie sparse, non mirabili, scritte negli anni di studio, 1926-1930 e negli anni finali, 1941-42, come raccolta a sé.
Antonio Castronuovo, che ha curato la raccolta, la traduzione, e la scelta di note dai “Quaderni” che accompagnano le poesie, dice di Simone Weil che “poco ha meditato sul senso della poesia”. No, la sua figura e l’opera sono eminentemente poetiche. Di una poesia impegnata e tuttavia intesa a “dirigersi mediante le parole verso il silenzio, verso il senza-nome”. Dentro una concezione del mondo che lega “creazione, fine… nascita, morte, etc.” in un “indefinito attorno al finito”. Per la conoscenza profonda della grecità, eccezionale anche per quegli anni 1930 in cui tutti ad essa si richiamavano, quasi un’immedesimazione: un “ampliarsi all’infinito” che è “allo stesso tempo …qualcosa che è limitato\chiuso” (p.20, da “Quaderni 2”, inizio 1941). Di una vita, un’opera , leopardiana, nel senso che lo stesso Castronuovo ricorda, “arcana e stupenda”. “Prometeo”, il componimento centrale, non è un tributo della classicista al classico ma un grido: eccessivo, estremizzato, nei nomi, gli attributi, le passioni.
Simone Weil, A un giorno e altre poesie, Via del Vento, pp. 36 € 4
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