Giuseppe Leuzzi
Marina Terragni ha un’amica, “medico anestesista in provincia di Milano”, che si candida a sindaco al suo paese, Castellana Grotte. Le fa “tanti auguri” su “Io Donna”, “perché”, dice, “ci vuole molto coraggio”. Chissà come Marina immagina Castellana Grotte, in Puglia, che sarà senz’altro meglio della provincia di Milano.
Ma, poi, la stessa Marina dice d’invidiare “la mostruosa forza delle donne del Sud”.
Marcello Dell’Utri, palermitano, abile manager, bibliomane forbito, appena “assolto” dalla Cassazione dall’accusa di mafia, si lusinga di un’intervista con Felice Cavallaro, decano dei corrispondenti dei grandi giornali da Palermo. Che ne mette in dubbio (di mafia) ogni sua briciola: l’assoluzione di fatto della Cassazione, la bibliomania, la ricchezza, l’amicizia con Berlusconi naturalmente (senza dire che è Dell’Utri che ha arricchito Berlusconi). E un viaggio in Spagna i giorni della sentenza in Cassazione, come a dire: aveva pronta la fuga. Senza nemmeno dire che ormai non si fugge più in Spagna. Cos’è che spinge due palermitani a questo gioco al massacro, su un giornale del Nord, il “Corriere della sera”?
Cavallaro si può capire, il proverbio dice che si attacca il mulo dove vuole il padrone. Ma Dell’Utri? Forse non era un bravo manager.
Roberto Perrone va in Brianza a gustarsi la triglia di scoglio. Anzi a Cavenago, all’incrocio autostradale appena fuori di Milano. Questi milanesi non si privano di nulla.
Portare il mare, in aggiunta alla ferrovia, era promessa da ultima spiaggia alle prime elezioni della Repubblica, nei comuni dell’entroterra aveva effetti sorprendenti. Si vede che la promessa non era limitata al beato Sud.
La singletudine dell’assimilato
Ultimamente, Alberto Mellone, “Addio al Sud. Un comizio furioso del disamore”, lega il rifiuto del Sud, l’odio-di-sé-meridionale, a una forte nostalgia. Marina Valensise, “Il sole sorge a Sud”, annega la nostalgia, di cui però non si vergogna, intellettuale cresciuta, nel Sud politicamente corretto. Entrambi evidenziando una sorta di singletudine dell’intellettuale meridionale. Non di solitudine, d’isolamento. Ma di scelta perplessa, se non misantropica, tra la voglia di manifestare una diversità, e le convenienze. Per una condizione storica, in questa epoca di leghismo, ma anche come connotato esistenziale: dopo attento arrembare nel correntone postrisorgimentale, o lasciarsi portare, l’emigrato intellettuale ha scoperto che l’Italia vuole in fondo da lui che non sia quello che è – che si sente, che ha voglia, di essere.
Curiosamente, la situazione del Sud, che Pietro Antonio Buttitta quarant’anni fa (“Il genocidio imperfetto”, 1969) appaiava al Terzo mondo, ripercorre oggi quella della diaspora ebraica prima del nazismo. Si pone, senza porselo, il problema dell’assimilazione, o della rinuncia di sé. Che sembra – è – un’offerta generosa, una porta aperta. Cui il meridionale dà in genere risposte entusiaste – l’italianità è più forte (radicata, sentita, ampia) nel Meridione. Ma implica una rinuncia all’essere e una sorta di soggezione.
Ne è specchio l’intellettualità locale. Di chi non ha voluto o potuto emigrare. Che coltiva la sua differenza, ma senza ambizioni-illusioni. Restringendosi al colore, all’aneddotica minima – come quei narratori minimi, coloristici, delle shtetlekh, le comunità ebraiche ammassata nelle province orientali dell’Europa. In Puglia Albino Pierro e la forte poesia dialettale. Che il filmato “Italia Sud-Est”ben rappresenta nel Salento: il tempo, i linguaggi, la figuratività – più e meglio di “Basilicata coast to coast” che ne diventato eponimo.
L’emigrato resta straniero
L’emigrato destinato a restare straniero è una delle prime figure che Herta Müller, “In viaggio su una gamba sola”, p. 63, incontra dopo l’emigrazione dalla Romania alla Germania nel 1987. La futura premio Nobel lo incontra al bar. “Anche lei è di un altro mondo”, le dice l’uomo. Che poi spiega: “Sono un senza patria. Italiano. Nato in Svizzera. Seconda generazione di stranieri”. “Io non sono senza patria”, ribatte la scrittrice: “Sono soltanto all’estero”. “Straniera all’estero”, ride l’uomo: “I miei figli saranno la terza generazione”. Si resta a lungo stranieri, anche assimilando la cultura del luogo, la lingua, i comportamenti.
Anche Astolfo, “La gioia del giorno”, pp. 362-3, ha una famiglia di emigrati non integrabili: (il signor Mimmo) “si è presentato all’Interhotel, tappa per Algeri, provocatore e stimabile. Potrebbe essere quel personaggio di Cimarosa che chiede “Sveltezza, amico, sveltezza”. Ma è uno che ha superato l’handicap, per essere italiano e meridionale, del mafioso. Che in Germania è naturalizzato: notai, banchieri, mercanti, oltre agli incettatori, falsari, pataccari, si celano dietro facce immigrate. L’Est non è diverso, ha per questo porte aperte al capitale. Anche in pizzeria, dove il ragazzo che serve, avrà quindici anni, alto, pallido, cadenza torinese su fondo meridionale, la cura maggiore la pone, servendo tra i tavoli, a non incespicare in un grugno repulsivo, la palpebra inferiore dell’occhio destro slabbrata a metà guancia, i denti guasti, che si aggira con una scarsella legata alla cintura, di cui fa tintinnare le monete. Il signor Mimmo, che ha insistito per l’uscita in pizzeria, opera pionieristica tra i resti della Leipzigerstrasse, spiega l’inspiegabile:
“ - Lo chiamano ‘u Sgargiatu, per via della palpebra rovesciata. Lui non si offende, non capisce, viene da Sondrio. È l’uomo del direttore della banca, per conto del quale strappa a questi poveretti gli incassi dalle mani, il debito sarà ormai al mille per cento. Le cambiali? No, niente tracce, siamo compagni. Il padre non si fa più vedere, era uno che ci credeva. Era emigrato a Torino, era bene avviato, ma ha scelto il sole dell’avvenire. Sono onesti, vivono da schiavi. – È plausibile. A un bar espresso con gelateria alla stazione di Dresda, tenuto da friulani taciturni, il locale Sgargiato, dal naso peloso, il labbrone pendulo, il forte siciliano parlato col naso, sta alla cassa. Gli Sgargiati devono far bene al mercato. Il signor Mimmo non si scandalizza: - Tutto si compra in Germania, anche il certificato di nascita. - La sua abilità è di metterli nello stesso sacco, tedeschi e comunisti: il mafioso è capitalista con coscienza critica”.
leuzzi@antiit.eu
Si emigra dimezzandosi, lasciando fuori la parte di sé che è del proprio mondo originario.
RispondiEliminaRosy