Il solito Soldati narciso insoddisfatto, in questa che poteva essere la sua ultima narrativa – è la penultima. Della sua incapacità di amare. Anche le amanti che lo hanno fatto felice.
La morte di una di loro, di una malattia grave che non lo turba, gli suscita la rievocazione di una “infernale” crociera attorno all’Africa, con tanto di diavolo incontrato a Dakar – in un’orrenda parodia del folklore africano, ma il lettore non è tenuto a saperlo. In compagnia di chi, il lettore lo scoprirà alla fine. L’impegno di Soldati in tutta la narrazione è di convincersi, e di convincere la moglie, alla quale invia la solita confessione, suo genere preferito, questa volta con un nastro magnetico, che la colpa è della stessa moglie. Compresa la beffa finale?
Un Soldati che aderisce al suo personaggio televisivo. Non antipatico, benché lui intenda questo: ipocrita, opportunista, sempre per la storia dei tredici anni di scuola dai gesuiti. Con estenuanti prove di gelosia – meno fredde che in Proust, ma non una risorsa. Soffre “l’inerte gravità dei corpi” dopo l’amore, che sempre si accanisce a rifare. Con molte donne, in ogni luogo, con ogni sotterfugio. Più che un diavolo un diabolicchio, quello che astrae dal falso folklore che s’inventa, il diavolo Gobòi .
Con copiosa presentazione, di Giovanni Tesio, cronologia e bibliografia di Stefano Ghidinelli.
Mario Soldati, L’architetto, Oscar, pp. XLVI + 116 €9
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