lunedì 5 marzo 2012

Vittorini e Bachmann consiglieri di Kissinger

Finalmente un primo approccio al ponte che il recente immigrato Kissinger, giovane dottore a Harvard, lanciò verso la cultura europea nei primi anni 1950. Con la rivista “Confluence” e gli Harvard International Seminar ogni estate per due mesi. Il segretario di Stato del multilateralismo e della globalizzazione nasce su un solido impianto di filosofia della storia. La tesi di laurea di Kissinger, pubblicata nel 1951, a ventotto anni, è “The Meaning of History: Reflections on Spengler, Toynbee and Kant”. Una riflessione che gli valse l’assistentato al suo direttore di studi, William Yandell Elliott, con l’apprezzamento “una mente insolita e originale”. Elliott nello stesso anno gli confidò l’organizzazione dei seminari e l’anno successivo la direzione di “Confluence”, una rivista scritta in larga parte da intellettuali europei (Moravia e Alvaro tra gli altri). I seminari riunivano ogni anno d’estate, per due mesi, “un nutrito gruppo di eccellenti studiosi, politici e giornalisti stranieri (ma quasi tutti europei, n.d.r.), ospitati a Cambridge, sulle sponde del Charles River, dove avrebbero discusso di storia e di filosofia”. Non se ne sa molto. Anche se i seminari ebbero successo: riservati a giovani fra i 25 e i 40 anni, ebbero molte domande di partecipazione e Kissinger dovette incaricarsi di selezionare i candidati. Nei suoi ricordi di Montale, “Montale e la Volpe”, Maria Luisa Spaziani, allora studiosa di letteratura francese, menziona di aver partecipato al Seminario del 1955, insieme con Ingeborg Bachmann. In passato ha fatto velo l’inevitabile finanziamento della Cia. Di cui Kissinger si è sempre detto all’oscuro, spiega Iurlano, pur riconoscendo che “nessun comunista era mai stato contattato per il seminario – gli stesso si occupava dei contatti”, e che Elliott collaborava in più aree col governo federale a Washington. La rivista e i seminari erano peraltro intesi a dibattere “dei valori comuni della civiltà occidentale”. Ma in Italia Kissinger si indirizzò per primo a Vittorini, come Enrico Mannucci ha messo in luce già nel 2010 sul “Corriere della sera” (15 aprile), sia per un suo contributo sulla forza delle ideologie, sia per avere lumi su possibili collaboratori e partecipanti ai seminari. Vittorini rispose con una congrua lista, che non escludeva i comunisti. Giuliana Iurlano, Henry Kissinger e la guerra fredda, in “Nuova rivista di storia contemporanea”, nov.-dic. 2011, pp. 87-110

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