lunedì 16 aprile 2012

Cambiare mondo con la provincia

L’Italia è il paese dei campanili. Ma con limiti, si penserebbe. Ora siamo al punto che il caffè, lo stesso caffè Kimbo o Autogrill, che chiamano “Racconto”, si vende in Toscana, nella provincia di Grosseto, al bar della stazione di servizio lungo l’Aurelia, a 1,20 euro, mentre passata la frontiera, nel Lazio, sotto Tarquinia, sulla stessa Aurelia, si vende a 1 euro. Sono diversi anche i limiti di velocità. Nel grossetano, sempre sull’Aurelia, il limite è a 90 km, con variazioni continue a 70, o a 60, o a 50, e sensori nascosti dietro le paline per fare le carissime multe, mentre passata la frontiera, si va, sulla stessa strada, a 110 – e senza trappole. Da Roma fino a Tarquinia i vertiginosi mutamenti di velocità massima sull’Aurelia sono lasciati alla libera interpretazione dell’automobilista, da Montalto di Castro in su sono trappole. Dei Comuni per rimpinguare le casse. Con telemetri e vigili nascosti dietro le siepi, protetti dal giudice di pace di Orbetello. Le stesse popolazioni probabilmente, ma una diversa tradizione. In Toscana predatoria, per il vecchio costume dei signori di passo, scesi dall’Amiata alla Maremma – l’Amiata era passaggio obbligato allora, essendo la Maremma infetta. O, sempre in tema di caffè e panini, la pizzetta romana con prosciutto costa 2 euro e mezzo, in montagna d’inverno a Monte Livata, nella remota provincia di Roma, e cinque, la stessa pizzetta con lo stesso quantitativo di prosciutto, a Campo Felice in Abruzzo, stazione invernale non più nobile.
Il fatto non è solo italiano. La differenza più radicale si presenta forse tra Francia e Spagna al confine catalano. La stessa lingua e la stessa tradizione, catalana, sono vissute in modo diametralmente opposto di qua e di là della frontiera. Inerte (economicamente, commercialmente) e rognosa (razzista, sciovinista) a Perpignan, febbrile e aperta a Figueras. Ma il localismo è in Italia più radicato e diffuso.
Ci sono novità nel federalismo italiano rispetto a quanto si poteva scrivere meno di due anni fa, nel saggio “La Lega fa trent’anni”, pubblicato sul sito il 30 agosto 2010. Dove si faceva l’esempio di Grado, cittadina molto bene amministrata, seppure in sentito leghista. Per concludere che ci sono delle persistenze, forti memorie storiche. Che agiscono però anche come paratie stagne, forme di separazione. Non hanno effetto diffusivo. A Grado come a Vicenza, a Padova, a Treviso, nel veronese, i comuni si amministravano bene anche prima di essere leghisti, quando in massima parte erano democristiani e anzi vescovili. Così pure gran parte delle città in Emilia, Romagna, Toscana, Marche: Bologna si amministrava bene anche sotto il papa, o Siena, o Ancona, o Rimini. Però è vero che Grado non è Jesolo, con la quale pure compartisce la laguna: le due cittadine sono due mondi totalmente diversi. Perché Grado è friulana, o giuliana, e Jesolo è veneta.
Ogni città, ogni paese, finisce per avere una sua “configurazione” (Norbert Elias), un sistema di interrelazioni specifico o “chiuso”, che cristallizza nel tempo in comportamenti e mentalità, pur attraverso frizioni, e anche conflitti, che la stessa interdipendenza accentua. Questi nuclei, “configurati”, si identificano nella rete di cui sono parte, etnica, storica, linguistica. E tuttavia le differenze ci sono pure. O, se si vuole, uno dei fili o delle gabbie di questa rete è il sistema di relazioni amministrative, istituzionali: a volte basta un semplice tratto sulla cata per segnare differenze vistose. Si segua la statale 116 Ionica e a un certo punto, prima dei segnali, si avverte un cambiamento: la stessa strada non ha più buche, ha l’asfalto liscio e la barra continua bianca ai bordi e al centro, perché si è lasciata la Calabria e si è entrati in Basilicata. Le stesse popolazioni, le stesse famiglie probabilmente, hanno una diversa sensibilità da un lato e dall’altri della provincia, tra Cosenza, che pure in Calabria è bene amministrata, e Potenza.
La differenza talvolta la fa la natura. Si può capire che Faenza abbia una cucina totalmente diversa dal Mugello, con cui pure condivide la strada e molta storia: di mezzo c’è l’Appennino. Non c’è invece soluzione di continuità tra Siena, o Grosseto, e Viterbo, scendendo lungo la Cassia o l’Aurelia. Ma sono due mondi incomparabilmente diversi, non solo per il costo della tazzina di caffè e per le multe, ma per colori, dimensioni e cura delle case, per atteggiamento e perfino abbigliamento, per la parlata, anche il linguaggio può essere segnato dal limite burocratico. Con “parti” addirittura invertite quanto a esperienza storica. La Maremma, l’Amiata e la val d’Orcia erano governate dal granduca di Toscana, Viterbo dal papa, ma le prime sono state zone depresse fino a recente, la Maremma fino agli anni 1960, la val d’Orcia fino agli anni 1980, l’Amiata, in declino economico, si spopola, mentre Viterbo e il viterbese sono stati ben accuditi dal papa.
La divisione amministrativa consolida una diversa lingua, e un diverso linguaggio. Mentalità. Costumi. Giudizio. Fedi, religiose, politiche. Consumi, stili di vita: un pasto a Marta costa la metà che a Montefiascone, sullo stesso lago di Bolsena. Tra Massa e Lucca, due province finitime della stessa Regione, e ugualmente “bianche”, la differenza giunge all’estraneità. Macroscopica tra Ronchi di Massa e Vittoria Apuania di Forte dei Marmi, che pure sono località balneari senza soluzione di continuità. Per storie diverse, certo: spesso le divisioni amministrative ricalcano storie diverse. Ma più spesso tagliano territori contigui, uguali, simili, complementari. Ma, poi, non è semplice nemmeno questo: Forte e Viareggio sono da sempre di sinistra e fanno turismo di lusso, come non si fa nel resto della bianca Lucchesia.
Una città in Italia può fare un mondo a parte. Lucca non ha nulla in comune con Massa, a parte, un po’, la lingua – ma non il linguaggio. Massa che invece, malgrado gli Appennini e le Apuane, è in tutto e per tutto legata alla sovrastante Emilia, di Parma e fino a Modena: le parentele sono transappenniniche, e l’alimentazione, i macellai a Massa esibiscono le carni emiliane doc, piuttosto che quella chianine. La Toscana tutta peraltro, che con i Medici si proiettava via Umbria fino agli Abruzzi, non ha mai spartito nulla con le confinanti Marche, presidiate da altre signorie – giusto Piero della Francesca. Ancora oggi Arezzo non sa nulla dalla sovrastante Massa Trabaria.
Michael Dibdin, il giallista inglese italianato, a un certo punto, in “… e poi muori”, ambientato in Versilia e a Lucca, nota nella piazza Napoleone una rivista che insulta i pisani: “Una scoperta medica rivela perché i pisani nascono – il rimedio non c’è”. E se la spiega come il un riflesso dispettoso della città “industriosa, mercantile” verso “la città di mare, con la sua inaffidabile ciurma di briganti e avventurieri”. Mentre la rivista è chiaramente “il Vernacoliere”, pensato, scritto e pubblicato a Livorno. Che quindi opera al contrario: è la ciurma di briganti e avventurieri che insulta la paciosa, torpida, città di terra che Pisa nel frattempo è diventata.
Diverso il caso di una trasformazione invece voluta. Talamone che in cinque anni si trasforma da borgo sonnolento, con la sua storia garibaldina, in marina: un pied-à-terre rifatto, acciottolato e arredato d’architetto, per barche enormi tirate sempre a lucido. Questa è l’opera della politica, che dunque può fare nell’arco di pochi anni. Si vede dall’autostrada: stessi luoghi, stesse popolazioni, divisi amministrativamente: dopo qualche decennio, la diversa gestione politica cambia anche i connotati. La forza della politica, dell’azione, dell’attività. Per politica intendendosi non il partito, non tanto il partito, quanto la tradizione dentro il partito. Perché Livorno e Grosseto, province confinanti, hanno da sessant’anni un’amministrazione dello stesso colore politico, ma interpretata diversamente: sotto la stessa politica la diversa tradizione, o la persistenza dei caratteri, fa la differenza.
Bisognerà rifare la storia dei caratteri originali. Si è più spesso contigui e diversi per non si sa bene che. Per immigrazioni. Per lunghi domini-principati che hanno lasciato un imprinting. Per la natura dei luoghi. La differenza abissale tra Forte dei Marmi e Marina di Massa, malgrado la contiguità fisica, è perché l’una fu nel duecento a.C. colonia latina, mentre Massa è rimasta agli Apuani ribelli? E quando questi furono deportati nel Sannio, ai sanniti ribelli che li sostituirono nelle montagne? Gli stupefacenti Campi Flegrei alla periferia Nord di Napoli hanno il vizio d’incutere paura, forse senza colpa degli abitanti. Sono essi gli eredi della flotta romana, delle galere? Si spiegherebbero i “diavoli nel paradiso”, che in questi dintorni classici di Napoli spopolano. Al castello di Baia restaurato e adibito a museo il barista in giacca verde e fiocchetto si abbraccia con la ragazza. Richiesto di un caffè risponde che la macchina è rotta. Richiesto di un po’ d’urbanità, ribatte torvo che lui è un lavoratore socialmente utile e non deve fare il caffè. La Piscina Mirabile è guardata da un grappolo di uomini di campagna intenti a fumare e giocare a carte, che non guardano nemmeno il visitatore. A Miseno, dove avevano sede le galere, non si può scendere dalla macchina, i camerieri divelgono letteralmente i pochi visitatori al loro ristorante. A Santa Maria Capua Vetere, che pure ha un anfiteatro romano molto visitato, ogni sguardo trasuda violenza, verso il forestiero che vi si avventura in macchina, che non si può non predare. Insomma, le specificità ci sono.

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