Siamo nel 1945, negli Usa, ma non è un nuovo inizio, è l’inizio della fine. Il titolo è peraltro, involontariamente profetico più che critico. Riproposto vent’anni fa in parallelo con un altro titolo,”Contro l’Europa”. dell’antropologa Ida Magli – due donne, dunque, per sanzionare la fine dell’Europa, una alla fine politica, una alla fine economica, per motivi peraltro non tanto dissimili. Ma di che cosa si celebra la crisi, il momento terminale, per quanto prolungato? Di che Europa? Zambrano ne ha, pur negli anni concitati della guerra, 1940-1945, e del suo personale esilio dalla Spagna, visione semplice tanto quanto eloquente: va alla fine l’umanità prometeica. Che non è quella di Eschilo e della grecità, ma di Agostino.
È il santo, dice Zambrano nel saggio centrale del libro, fulminante, “La violenza europea”, che ha recuperato Platone e Plotino, la classicità e l’ellenismo, trasformandole da religione della morte in religione di vita e avventura. Il cristianesimo, e quindi l’Europa nascente, riportando al Dio giudaico-cristiano, il creatore (“creatore per antonomasia, quello che ha tratto il mondo dal nulla”), nell’infinito: “Agostino è stato il padre dell’Europa”. Mentre per i greci e ogni altro antico Dio era un compartecipe della morte, della finitezza: la vera Grecia, di Nietzsche, Rohde, Burckhardt, è pessimista – “il greco non ha avuto vocazione per la vita, l’ha avuta per la ragione, per la bellezza”, intese come “una ribellione contro la meschinità delle’sistenza umana, una sf ida (l’unica concessa senza processo) all’invidia degli dei olimpici”.Tutto bene, si direbbe. E invece no.
L’Europa è questa tensione, bene o male. La sua agonia non è effetto dell’ideologia, la violenza o “estremizzazione”, “abuso” ,dell’ “eroico idealismo” che ha fatto l’uomo europeo, ma l’inerzia, la “spaventosa servitù dinnanzi a ciò che gli accade”, “l’incatenamento atroce ai fatti”, alla “lotta materiale e barbara”, reattivo unicamente per risentimento, invidia, rancore. L’Europa è “disanimata”. Per effetto della secolarizzazione, che Zambrano chiama “naturalezza”: “Ormai tutti i miglioramenti, per fantastici che siano, ci sembrano cosa naturale”. È lo sbocco del liberalismo, Zambrano constata con amarezza, per esserci crescita culturalmente, allieva di Ortega y Gasset: “Ci è toccato di vivere ore di dispersione”, nel pensiero, nelle arti, nella letteratura. Siamo ora alla veglia nella “casa ingrandita per la morte di qualcuno”: per l’Europa “nel suo incessante cambiamento c’era il principio della sua conservazione”.
María Zambrano, L’agonia dell’Europa, Marsilio, pp. 102 € 8
lunedì 2 aprile 2012
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