È un libro d’immagini, oleograficamente seppiate: il “Sud” dev’essere grigio, tristanzuolo, un po’ povero e sporco, un po’ folklorico, con gli asini, le baracche, le Madonne, gli incappucciati. Qui, poi, sta eretto solo nelle foto del fascismo: ospedali ordinati, scuole lucidate, linde colonie marine, elettricità, macchine agricole, e Mussolini specchiato. Con le solite approssimazioni storiche. “Sudista” è il consociativismo (Depretis?). La reazione agraria. Il latifondo – che in due terzi del Sud non c’era. E la criminalità, naturalmente.
Nel testo introduttivo Barbagallo sfiora, tra i tanti stereotipi, il tema centrale dell’economia e della società postunitarie: l’appropriazione della manomorta. Per dirla un “nuovo feudalesimo”. Mentre è l’origine della borghesia infetta che ammorba l’Italia. Il vero dualismo italiano è tra chi lavora, con costanza e sagacia, gli operai, gli artigiani, gli industriali, e chi ritiene che tutto gli tocchi in virtù appunto dell’atto di nascita, l’appropriazione gratuita dei beni ecclesiastici. E sono la maggioranza: i famelici ceti professionali (i medici soprattutto, i giurisperiti), i burocrati, e la sterminata classe politica, che tra eletti e contendenti, dal ministro al consigliere circoscrizionale, annovererà un milione di persone, quattro-cinque con le “famiglie”.
Francesco Barbagallo, Il Sud, storia fotografica della società italiana, Remainders, pp.271 € 7,23
mercoledì 18 aprile 2012
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