Si fanno i bilanci di quasi due anni di “crisi europea”, e i pareri ufficialmente sono divisi. Ufficialmente la Germania sostiene, guardando ai saldi della bilancia interna della Banca centrale europea, che la Bundesbank è quella che sopporta i costi maggiori della crisi. Trovandosi per questo sovraesposta nei confronti dei paesi del Sud Europa, i paesi in crisi, e quindi a rischio contraccolpi. È la tesi, polemica e anzi irridente, sostenuta in particolare dal presidente dell’Ifo, l’istituto per la congiuntura, di Monaco di Baviera, Hans-Werner Sinn. A Londra e negli Usa si leggono gli stessi dati in senso opposto: il Sud Europa paga l’austerità, mentre la Germania accumula attivi. Senza un bilanciamento, che anzi la Germania impedisce: col no a una politica espansiva della Bce, e il no agli stimoli alla sua domanda interna, per favorire l’export dei partner europei. Ma non è una “guerra di presupposti”, è un fatto: la Germania è la beneficiaria, unica, della crisi.
La Germania di Schröder e, di più, quella di Angela Merkel, da una quindicina d’anni quindi, ha usato l’euro a suo esclusivo vantaggio. Trasgredendo le regole di bilancio quando le faceva comodo, e imponendone di severissime nella stessa ottica, del vantaggio nazionale. La stessa crisi del debito greco e ora quella dell’immobiliare spagnolo sono opera in misura rilevante delle banche tedesche – in un tribunale fallimentare internazionale sarebbero sospettate, se non imputate, di bancarotta fraudolenta. Una politica che questo sito ha definito di moderno “mercantilismo”: una sorta di guerra civile, anche se sotto l’abito della cooperazione.
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