Un titolo malizioso per un’antologia di ricordi, vincendo in vecchiaia il “disdegno” per “il soffice accomodante sentimento della nostalgia” – apparentato all’ “accattonaggio molesto”. Non senza ritrosia. Il titolo rimanda a un oscuro, triste padrone di casa, afflitto da una moglie “olandese o tedesca”, dal quale Fruttero ragazzo veniva mandato qualche volta a pagare l’affitto, che un giorno la mamma incidentalmente gli svela essere il “Bel Ami” autore di canzonette, tra esse la maliziosa “Mutandine di chiffon”. Un ricordo infondato, Fruttero spiega infine beffardo, poiché Laura Cerutti, la sua editrice in Mondadori, sa per certo che la canzone è del farmacista Marco Bonanate, in arte Marf (non sarà il solo ricordo infedele, Fruttero si diverte a canzonare la letteratura della memoria). Ma è una bella storiella. E un ricordo veridico comunque, e onesto.
Uno dei pochi nella letteratura dopoguerra. Questo di Fruttero è agli atti l’unico “com’eravamo” degli anni 1950-1960 che fa le parti dei comunisti e dei non comunisti, separati e reietti anche fuori da Einaudi, seppure in campo di concentramento mentale e attitudinale. La cellula del Partito in casa editrice partecipava ogni anno alla sfilata del Primo maggio con un proprio carro allegorico, con i redattori e gli scrittori in pedana. Fino al Primo Maggio del 1956. Inedito, aristofanesco, l’episodio del telegramma di Giulio Einaudi all’Onu – a chi? all’Unità Indistinta – la notte dell’invasione sovietica dell’Ungheria, nella lingua di piombo del Pci intraducibile in inglese per il pur valente traduttore Fruttero, tanto lungo che alla posta non bastarono i soldi di Fruttero e Bollati insieme, per mettersi l’animo in pace con la repressione in Ungheria.
Ironico anche il giusto, come ci si aspetta da lui, procedendo per lampi invece che per prolisse spieghe. Con lo scettico Calvino catecumeno comunista – col quale Fruttero condivideva la stanza: due mutangoli, accomunati dall’insofferenza per la letteratura del ricordo. Bocca il ruvido in camicia setosa rosso aragosta, o accoccolato per terra a una “cerimonia” dello stilista Armani. Bobbio figurato critico di moda, alla Mallarmé. Ma bonario: la società letteraria fa amichevole e perfino interessante. Affettuoso con “Chichita”, la vedova di Calvino, di cui schizza un brillantissimo ritratto. O Lodovico Terzi, maestro della sprezzatura – della famiglia Terzi “assai bene inserita nel regime fascista: ambasciatori, ammiragli, alti funzionari”, e un segretario del duce. O Luciano Foà, il creatore di Adelphi, in veste di Anchise. Soldati in azione per sconfiggere l’invidia, la sua. E un Citati decisionista inedito: re dei bambini, instancabile. Memorie “retribuite” le chiama Fruttero, perché scritte su richiesta di giornali e editori, e quindi pagate. Ma il lettore pure, ne è retribuito. E chi si attende che si parli di Einaudi vi trova invece i Mondadori. Una sezione è dedicata a Lucentin.
Carlo Fruttero, Mutandine di chiffon, Oscar, pp.244 € 9,50
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