La globalizzazione lo copre, e anzi lo esorcizza, ma la crisi, dopo il crack finanziario, è l’effetto di un rincaro senza precedenti della materie prime, agricole e minerarie. E fra queste dei combustibili fossili, carbone e idrocarburi. I rincari della benzina e del gas sono, nella loro abnormità, parte di un abnorme rincaro di tutte le materie prime, avviato prima della crisi finanziaria e a essa sopravvissuta, con più forza.
È l’effetto positivo della globalizzazione. L’introduzione al mercato e ai consumi di quasi tre miliardi di persone: la Cina, l’India, il Brasile e buona parte dell’America Latina, la Russia, le tigri asiatiche. Ma, rapido e eccessivo, e non governato (non se ne parla nemmeno), ha messo in crisi l’Europa, e minaccia ora lo stessa globalizzazione. L’effetto benefico, cioè, dell’apertura mondiale dei mercati. La Cina, che pure è grande produttore di materie prime, potrebbe esserne la seconda vittima – come lo fu il Giappone trent’anni fa, dopo i due shock petroliferi del 1973 e del 1980 (dai quali cercò di salvarsi col piano nucleare finito a Fukushima).
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