La capacità narrativa di Giordana non ha ragione di Piazza Fontana. Il film, lanciato in sole 250 copie con la ragionevole attesa di una lunga vita nelle sale, ha lasciato gli schermi ad appena tre settimane dal lancio – a Roma per il 25 aprile era disponibile in soli quattro cinema, King, Madison, Quattro Fontane e Tibur, e ne primi tre nelle sale piccole, da cinefili. Il racconto è solido, ma lo spettatore resta a disagio. Le ferite aperte sono due, le bombe e le indagini, e non è facile addebitare tutto alla strage di Stato salvando poi questo e quello. Oppure il nodo è Pinelli, cioè Calabresi: il ruolo del commissario nell’indirizzare le indagini sulla pista (falsa) dell’anarchia.
Giordana è maestro in Italia del film politico, sulle questioni critiche (appassionanti), ma non abbastanza come il modello americano, che sa essere “imparziale”. L’onorevole Moro, per esempio, è presente a nessun effetto critico. Giordana ce lo vuole come parte buona della politica, ma è pure quello che, disinnescando il centrosinistra, ha precipitato l’Italia nell’autunno caldo, e nella terribile storia che ne seguirà. In questa prospettiva sarebbe stato un personaggio anche lui avvincente - ma non si può, la storia deve essere sempre mutila in Italia?
Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage
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