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Anima - È il sogno che popola l’immaginario ebraico. Che sempre sogna, l’amante l’amata, il figlio il padre, il padre il suo proprio padre, o una nascita, una morte, un affare, un pranzo. È un altro modo di non dire il fato, l’innominabile Dio. Di dire velando – di cui Simone Weil diffida: “Il sogno è menzogna, esclude l’amore. L’amore è reale”. È il problema dell’incorporeo dell’uomo, dell’anima: l’angelo la cui parola, interna al corpo, è portata dal flusso del sangue, non dipende dalla fede, riconosce il Corano. Gilgul, o Tiltel, da cui Toledo prese il nome, via Tuletula, l’equivalente ebraico dell’anima, è andare vagando. Secondo Sophie de Grouchy “l’anima è un fuoco da alimentare, che si spegne se non s’attizza”. Simone è precisa: “L’anima che si trasferisce fuori del corpo in una altra cosa, questo è l’amore, il desiderio”. Sant’Agostino, che a volte è duro, antipatico, sa l’essenziale: “Nutre la mente solo ciò che la rallegra”.
Confessione – La mania di confessare Derrida chiama egodicea. Comune in effetti a molti santi, Agostino e poi altri santi laici, Montaigne, Rousseau, ma anche a Casanova, Pepys, il cardinale de Retz , nonché a Nietzsche e al suo discepolo Freud.
“Rousseau è il più grande esempio di mania di riflessione, poiché gli è riuscito di dominare anche il ricordo, di trasformarlo in maniera veramente geniale nel più sicuro meccanismo di protezione dal mondo esterno”, attesta Arendt a proposito di Rahel Varnhagen. Ben oltre le tattiche di Freud e della freudiana letteratura contemporanea, dai ricordi importuni: “Dalla riflessione e dalla sua hybris nasce la menzogna”, dalla prepotenza cioè. E ancora: “Quanto più immaginaria è un’esistenza, o un dolore, tanto più si è avidi di ascoltatori, di conferme”. Ma la confessione “è possibile solo in assoluta solitudine, che nessuno o nessuna forza oggettiva è in grado di rompere”: bisogna essere sfacciati. E: “Non le sensazioni, ma le sensazioni raccontate possono vincere e convincere l’ipocondriaco”, le confessioni sono ipocondria. Ma “sono racconti presto dimenticati, perché in fondo non interessano nessuno”. E a capo. “È condannato alla ripetizione” ciò che non attrae attenzione: “Si ripete perché, anche se accaduto realmente, non ha trovato nella realtà un luogo dove fermarsi”.
Oltre un certo punto l’esame di coscienza è peccato, dilettazione morbosa. Pathos mathos, si direbbe in greco, la sofferenza è un’abitudine – di pathei mathos, l’abitudine della sofferenza, parla Eschilo nell’Agamennone. La confessione non è nei vangeli, e non c’è pentimento richiesto, Erasmo se lo disse con Lutero. Anche se l’esame di coscienza frena e restringe la naturale turpitudine: ognuno ha un suo oracolo personale, come Senofonte sostiene in difesa di Socrate, anche se non tutto è prevedibile, non è segnato né logico. E l’altro è nell’io, dice sant’Agostino nelle “Confessioni”. O è viceversa, che l’io è nell’altro? E la letteratura che c’entra? La confessione come genere letterario è interminabile, insopportabile logorrea, la letteratura è scremata, costruita, già dai tempi di Omero. Quello che s’intende per confessione, il sogno vigile, sono le insonnie. Più in quest’epoca di celebrazione, dei “trenta gloriosi”, i giorni del maggio ’68 in Francia, e del prodotto interno lordo che cresce, ora di molto ora di poco, e dell’abolizione del dolore, non ce n’è più materia, da qui la inconsistenza, il nulla. È così che ora Dio è quello che non parla. E si può solo scrivere a se stessi. La confessione è un’esibizione, il dottor Freud va posto, pure lui, nel Krafft-Ebing. Si repertoria per non sapere che fare.
Dio - È la bellezza.
Senza la bellezza, senza Dio, non c’è umanità. Non c’è poesia, né musica o arte: l’ispirazione, il “fluire” della materia (suoni significati, regolarità, eccezioni), il gusto solo si colloca (manifesta, esprime) nell’ineffabile.
Un ateo potrebbe esserne la prova. Se non fosse un masochista, intento a cortocircuitarsi – limitarsi, mutilarsi.
Impotenza - L’ipotesi che Rousseau non avesse cinque figli in orfanotrofio, per essere impotente, è notevole. O Casanova, l’altro grande confessore. Se ne illumina il sogno dell’impotenza di specie, lungo, lento, ritornante, argomentato, faticoso. Non proprio dell’impotenza, della sterilità. L’energia procreatrice è fissata per ogni generazione, è un tot, ma si realizza asimmetricamente, con alcuni sì, con altri no. Un sogno che, quando viene, occupa intiere agitate, seppure quiete, notti, perché c’è sempre bisogno di precisare, affinare, incastrare. Non si tratta neppure di sterilità, a essere precisi, poiché la procreazione avviene, ma di compartecipazione democratica: alcuni hanno figli, altri no, ma la differenza tra gli uni e gli altri è solo un particolare modo di realizzarsi dell’energia procreatrice in dote fra coetanei.
Nichilismo – Sul nichilismo bisogna spiegarsi, la Nach Neuzeit di Guardini che si ribattezza postmoderno, l’interregno tra il mondo cristiano, della storia come freccia, e qualcosa che ancora latita, un anticristo di cui non si sanno i connotati. Non il niente, che non c’è, ogni vuoto si riempie. Il nichilismo che trovano in Dostoevskij, o dov’è il seme della rovina, curarsi l’ombelico, è per i tedeschi un ripiego al loro stanco anarchismo, di bombaroli, incendiari, killer. All’“anarchismo prussiano”, il “cuore avventuroso” di Jünger: “Ci siamo guadagnati la fama di distruttori di cattedrali. Non abbiamo dato all’Europa alcuna possibilità di perdere”. Anzi: “Abbiamo lavorato anni con la dinamite”, a vantaggio di chi? - “in tempi di malattie e sconfitte il veleno diventa medicina”, comodo. E qui finisce la storia: l’Umschlag piace al tedesco, il rovesciamento.
Il problema vero, che bisognerà pur affrontare, è il vitalismo della destra. O dove si ferma la rivolta antiborghese, a destra e a sinistra. Il disprezzo dei valori borghesi, la parsimonia, la sicurezza, la proprietà, non è di Lenin ma di Hitler, che per questo divenne l’idolo di un popolo istruito, il meglio istruito dell’epoca, alla ricerca di mondi nuovi. A cui Hitler non propose Odino, il Graal e il feudalesimo, ma visioni fantascientifiche. Saranno gli aristocratici Schmitt e Jünger ad ammonire con Evola contro i valori. Ma, uscendo con Drieu, D.H.Lawrence, Simenon e Saint-Exupéry fuori dalle tenebre, ciò che preoccupa è l’onestà: non si può essere intellettuali e re-sponsabili? Siamo qui a faticare per non far cadere Nietzsche nella vitto-ria che non avrebbe voluto, il nazismo, e a difendere il sofistico Socrate e il cristianesimo agostiniano. Sapendo che Lenin arrivò alla rivoluzione su un treno militare tedesco, pieno di marchi, con la moglie e l’amante.
Ma, poi, non si può dire ma sappiamo tutti che il razionalismo è una forma minore di umanità, limitata a un quinto, se non a un sesto, di tutti gli esseri umani. Della cui grande maggioranza, cinque, sei miliardi, si propone come superiore sviluppo, il colonialismo è duro a morire, ma è spiantato. Soprattutto nella forma dello sciamanesimo, che è scongiuro, e quindi in qualche modo formula assicurativa, razionale, ma è sempre fede in forze oscure, vitali: l’umanità è sempre essenzialmente vitalistica
Ribellione – Segna la storia cristiana, dal paradiso terrestre alla passione di Cristo. Compreso Prometeo, da essa appropriato. Più della fede, che è invece un dono (la grazia), non originario (naturale), e una maniera d’essere (imprinting), non ardimentosa, non incerta – non una sfida.
Vera teologia negativa non sarebbe questa, del Dio nascosto più che “negativo”, il censore occulto?
Storia – Quella europea – occidentale – è violenta: rivoluzionaria, risolutrice, totalitaria anche quando non lo era. È una storia di liberazione ma anche un tendere verso una fine. Una storia irragionevole e intrinsecamente livellatrice proprio per essere di razionalità e giustizia.
Non è un ossimoro – una serie di ossimori – ma una contraddizione. Che non sa risolvere.
zeulig@ntiit.eu
sabato 7 aprile 2012
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