venerdì 20 aprile 2012

Secondi pensieri - 97

zeulig 

 Amore – Si vada per esclusioni. Certamente non è disprezzo, o insofferenza. Nemmeno indifferenza. Quello di Isidoro di Robles perdeva le vocali, ma non tutte insieme. Catone il Vecchio dice che l’anima di chi ama vive dentro quella di chi è amato. Bello, e risolve pure il problema dell’anima – dell’etimologia, che non è più ventosa ma di parentele labiali nasali. Ma è per questo che non c’è più l’anima, perché l’amore non c’è? O è l’amore incerto perché l’anima non c’è? La santità, ammonisce Eckhart che se ne intende, non si fonda sulle opere, la santità va fondata sull’essere. Esserci e non concedersi, insomma, è dell’amore il cuore. Se una donna piange, il detto vuole o che la sua vita sia una tragedia o la tua lo sarà. Ma potrebbero esserlo entrambe. Amore è intimità. Che è connotazione sororale - ci sia una sorella o un fratello in carne e ossa, oppure no. Inutile erigere tabù, l’amore si produce nell’incontro, quindi nella naturalezza, nell’abitudine anche. Nella disattenzione, poiché la presenza è costante. Senza punte, riserve, rivincite, prepotenze, sia pure sotto forma di one-upmanship, voglia infantile di primeggiare, che fanno il gioco della coppia caro agli psicologi e normatori. Può essere il massimo contenitore di cattiveria, in tutte le forme, furberia, egoismo, violenza, le passioni non facciano velo. “L’amore e la poesia oggi debbono giustificarsi”, Borges - mi ami? perché mi ami? È il secolo che si allinea a Freud. O Freud ha ragione. Ma già Aristofane giocondo poneva l’amore tra le cose turpi, in omaggio alla sapienza. Ma smitizzare bisogna: se la voluttà è l’arroganza del corpo, l’amore è il narcisismo dell’anima. È il tema dell’amore amato di Lullo - o il tema era l’amante amato…. E capita nei fatti come Wilde, la Gambara e D’Annunzio vogliono, che si uccide chi si ama. Che funziona piuttosto al passivo, ognuno è ucciso da chi ama - barbaro certo, e maschilista di fronte all’“Amor ch’a nullo amato amar perdona”. L’amore, “brutto figlio de pottana”, direbbe l’ortolano Ciccio di Alessandro Scarlatti, si cerca perché non c’è. È l’egoismo in porpora e zibellino, il pavone che fa atto di contrizione appaiandosi, senza smettere la ruota. È barocco, enfatico. Se l’aggressività è una retta in verticale l’amore è nel segmento basso, quello addomesticato, fino alle forme aride della etichetta e il dover essere, ma se l’amicizia manca è egoismo puro, fa presto a risalire il colonnino dell’aggressività. La coppia è garbo: educazione e buona disposizione. E, se c’è la follia, è passione. Filosoficamente resta ignoto, e anche materialmente, come avviene tra due persone, l’attrazione, la repulsione. È roba chimica, di reazioni gastriche? O fisica, di nervi, fibre ottiche? Pare che la realtà sia nella visione, secondo Heidegger, e il solito sant’Agostino. O non è tattile, l’amore? O un fatto di odori, o di ultrasuoni? Una volta si localizzava nel cuore, che è un muscolo, si poteva allora pensarlo riflesso pavloviano. Ma il cuore si disse e ripeté che arde, o piange, quello di Beaumont pianse fino ad affogare, a Orlando Gibbons prese a friggere, Thomas Morley dovette chiamare i pompieri, a opera di madrigalisti magari assassini e grassatori, e la cosa finì. Per cui le pene d’amore non hanno specialista, né accademico né praticone. Sono roba da maghi, buona per i romanzi. Questa è pure la loro misura: non si muore d’amore. Affermano di sapere tutto i poeti, ma è fantasia di timidi, o impotenti - è un classico che i poeti s’inventano gli amori, i Faoni, Agallidi e Ganimedi, le Cinzie, Delie, Lesbie, e le Cornelie, giustamente. 

Anima – In Lukáks, “L’anima e le forme”, e Hillman, “L’anima del mondo”, sta per Dio. Loro non lo sanno, o non lo dicono, ma è così. È parola di cui nessuna lingua conosce l’origine. Ne viene l’animale. 

Corpo – Ha una sua vita autonoma, sia o non separato dall’anima, come vogliono Cartesio e la mistica fascista. Le tette, anche quelle gonfie delle madri e quelle sbrendole dall’uso, le chiappe, le cosce, la nuca, le labbra, il modo di camminare, la voce hanno un loro linguaggio. Commuovono, ricordano, chiamano, promettono, respingono. In che chiave si esprimono le carni mantrugiate delle riviste per soli uomini, le bocche rossissime a o, gli occhi spenti, o scaltri, o avidi, ma di denaro, pagliericci di lussuria coi tempi e metodi di Taylor? Che cos’è il sesso, quante componenti combina, questo resta ignoto, soprattutto alla filosofia, la vita di relazione è terra incognita. Ma la condanna è recente, Delumeau la data all’anno Mille. Il rosario contiene tuttora una serie impressionante di simboli erotici, tra torri e vasi, con aggettivi. Ugo da San Vittore è ancora un estimatore: “Habent corpora omnia visibilia ad invisibilia bona similitudinem”, i corpi visibili rinviano ai beni invisibili. Le parti mute del corpo sono piene di suggestioni, anche le carcasse slombate. E si parla di foto, in assenza del calore dei corpi, o del loro algore. La testa non è tutto, e forse non è il meglio La bellezza oggi è urbana, e la bellezza urbana è il corpo. Urbano: ogni spogliarellista, ogni amante sa che il nudo integrale va recitato. Puškin si accorse dopo essersi sposato quanto sia spirituale la passione, che la novità di un corpo è più forte dell’amore o della bellezza, perché il corpo non può mentire. E che Otello non è geloso, anzi è un carattere pieno di fiducia – o può essere la fiducia letale? L’anima è copula mundi, spiega Marsilio Ficino, uomo dotto, fra le parti basse e quelle superiori. 

 Dialettica – Si vuole scienza della conoscenza, ma non più dei paralogismi. O dell’artificio epistemologico del dualismo: felicità1infelicità, amore\odio, vita\morte, amico\nemico.

Felicità – “La felicità è la perfezione e il fine dell’esistenza” è una delle tarde riflessioni ddel pessimista Leopardi nello “Zibaldone”, 3498. È lo specifico dell’animale uomo, questo “desiderio ardente di felicità” temporale, qui, ora. È il proprio dell’esistenza – della procreazione, della vita vissuta fino a un estremo trapasso – e anche dopo. È il motore del genere umano – del progresso, della storia. È la radice dell’infelicità, ovvio – in hegeliana dialettica. 

Noia – È passione contemporanea. È dell’Ottocento. Ne è primo poeta e censore Leopardi, che la dice anche “tedio” e “fastidio”: “La noia è la più sterile delle passioni umane, Com’ella è figlia della nullità, così è madre del nulla”. Ma non è passione: è l’appassimento della passione, l’estinzione. Sotto la spinta della ragione. Di quella particolare ragione che è l’utilitarismo, nella sua più recente versione del disincanto, o desacralizzazione: la ragione della convenienza – anche dell’efficienza, se si vuole, ma di tipo economico, tra diverse soluzioni la meno dispendiosa. La convenienza come tornaconto. Il tornaconto di una vita ordinata, previdente. La ragione di cui Leopardi dice che tanto meno vede quanto più vede”. Si può dire la vendetta (rivalsa) del niente: l’atonia, la derelizione della speranza (felicità). Un disfacimento, ben più soffocante di qualsiasi forma di tragedia. Non c’è in natura, è un fatto dell’uomo, della storia. 

 zeulig@antiit.eu

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