venerdì 13 aprile 2012

Tre ingegneri anglofoni al costo di uno

Il Politecnico di Milano rinuncia all’italiano come lingua d’insegnamento, passando all’inglese. Che sarà maccheronico, ma non più dei tanti pidgin english che corrono il mondo. Ma è l’europeismo o internazionalizzazione come li intende Milano, speculari al leghismo, a vista corta cioè. Ed è un modo come un altro per scardinare il famoso ingegnere italiano, quello che, in parallelo con l’artigiano dalle mani prensili, ha creato l’Italia postbellica. La laurea breve non è bastata per ridurlo a un modesto calcolatore di pesi e spinte, Milano gli taglia la lingua.
Negli anni 1970-1980 le imprese italiane all’estero fecero ampio ricorso, poiché gli espatriati italiani accrescevano le pretese e i costi, a ingegneri indiani, filippini, brasiliani. Che non avevano tante pretese - al costo di un ingegnere italiano espatriato si potevano avere tre asiatici o latinoamericani - e sapevano l’inglese. Ma cominciarono a perdere le gare e gli appalti: di tanto migliorarono l’inglese della corrispondenza e delle presentazioni, di tanto ne indebolirono la capacità di progettazione. Avevano buoni esecutori.

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