Il 5 maggio 1992 un collaboratore dell’«Avanti!» poteva annotare in una sorta di diario politico:
“«Milano non si tocca, le critiche a Milano vengono giudicate artefatte. E poi Milano siamo noi, i socialisti»: queste le risposte del direttore Villetti un anno e mezzo fa, alla proposta delle prime critiche al sistema milanese, passate poi sul giornale in forma ridotta e semiclandestina. Ora siamo al “Milano infetta”. E nei centri politici, non in quelli degli affari.
“Un errore doppio di Craxi: essersi fatto governare dagli affari, averli protetti nel nome del mito ambrosiano. Errore politico, che ne riduce la statura, l’intelligenza, e probabilmente la carriera. Ma è un errore di milanesità: la tracotanza milanese, più che lombarda, che non riesce nemmeno a capire di quali problemi (errori) è causa. Per un complesso di superiorità, e di vittimismo. Anche in questa crisi la colpa di tutto è di Roma, come se la politica si facesse a Roma e non a Milano.
“Ma cos’è Milano nei fatti? Beccaria, i Verri, Cattaneo, Manzoni, non saranno idealizzazioni di una società piena di sé, inaffidabile (incostante), a suo modo violenta – o si fa come mi fa comodo, oppure… Dov’è il milanese saggio, ragionativo, operoso, quadrato?
“Si dirà sicuramente che la cattiva politica lo ha dirazzato. Ma la politica è l’espressione di una società, con la quale interagisce debolmente, meno degli interessi di bottega per dire, o della presunzione etnica. Craxi, che era ipermilanese cinque anni fa, quando aveva ben governato e le cose andavano bene, è lo stesso oggi”.
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