giovedì 17 maggio 2012

Il rating è semplicemente razzista

Riguardati da tutte le parti, i verdetti delle agenzie di rating hanno un solo criterio: il razzismo. Gli Usa meglio dell’Europa. E in Europa le economie del Nord meglio di quelle del Sud. Per criteri obiettivi, si dice, che però non si vedono. C’è conflitto d’interessi nelle agenzie di rating, che hanno soci e lavorano per conto di clienti che dovrebbero invece controllare. Quando si farà la storia di questi anni solo apparentemente convulsi si vedrà che molti rating servono unicamente la speculazione. Ma il modo come questo conflitto d’interessi si realizza - il criterio - è razzista.
Non abbiamo saputo della Lehman Brothers prima che la stessa banca si dichiarasse fallita. Né dei buchi Bnp Paribas o JP Morgan prima che le stesse banche li denunciassero. Né abbiamo saputo del crack delle banche irlandesi o islandesi prima che avvenisse. Mentre non c’è ragione, questo è palese, per declassare le banche italiane, che stanno meglio di quelle francesi, e non peggio di quelle tedesche.
I fallimenti di banche in Europa d’altra parte, naturalmente imprevisti, riguardano casi enormi in Gran Bretagna, Olanda, Francia-Belgio, Germania: Bear Sterns, Royal Bank of Scotland, Abn Amro, Fortis, Dexia, Commerzabank, Hypo Real Estate e altre tedesche minori (tra esse Sachsen Lb, Wtes Lb, Ikb). Ora anche, da ultimo, una banca spagnola, Bankia. Mentre vengono ripetutamente declassate le banche italiane che, comparativamente, non stanno peggio.
È un razzismo alla rovescia, probabilmente, una forma di servitù volontaria: non del vertice sulle zone periferiche, ma delle stesse zone periferiche contro se stesse. Di filiali locali che hanno introiettato il complesso d’inferiorità. Non c’è altra ragione per cui si condannano le banche italiane e non le altre. E quelle italiane prima di quelle spagnole, che stanno molto peggio – da tutti i punti di vista: patrimoniale, degli attivi, della solvibilità dei crediti. Perché in Spagna l’odio-di-sé non è così pronunciato come in Italia. E non si provvede a migliorare il rating dell’Italia, che per l’Ue, l’Ocse e il Fmi è quella che, pur nel grande indebitamento, sta facendo i conti meglio.

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