Le sorelle Schucht, l’amante, la compagna e l’amica, riemergono prepotenti, ma sempre di sghembo, anche in questo revival gramsciano. Che si conferma in senso proprio, festivaliero – della mente, dell’anima, dello spirito, dell’inquietudine, dei sapori, e della storia, purché “di Partito”. L’Accademia di Santa Cecilia ne ha fatto spettacolo ieri a Roma, al Parco della musica. Con discorsi lirici, del decano Bruno Cagli in testa, e musiche di Antonio Gramsci jr., il nipote ora quasi cinquantenne. Ma giusto per una celebrazione, senza novità – e senza verità: è sempre togliattiana bonaccia, censura e autocensura cioè, pur tra le diatribe accademiche. Maria Luisa Righi, che documenta su “Studi Storici”, il trimestrale dell’Istituto Gramsci, il rapporto di “Nino” con “Genia” sulla base di tre lettere, di cui ricostruisce la datazione e l’attribuzione, in un lungo saggio peraltro di grande lettura, poteva fare di più ma si limita al lavoro filologico.
Antonio jr. è figlio di Giuliano, il secondo figlio di Giulia e Antonio Gramsci. È voluto tornare in Italia dopo la desovietizzazione, e collabora con “l’Unità” e l’Istituto Gramsci sul tema delle tre sorelle. Ma è un artista, storicamente un agiografo, cultore (svogliato) delle memorie familiari. Il suo “La Russia di mio nonno. L’album familiare degli Schucht” tre anni fa fu più che altro un’occasione mancata.
Le tre sorelle Schucht sono l’altra metà di Gramsci. Nei suoi ultimi quindici anni, quelli del fascismo. Russo-tedesche di origine ma italianiste appassionate, bilingui. Eugenia se ne fece l’amante quando aveva già 33 anni - lui 31 - nell’autunno-inverno del 1922, nel sanatorio di Serebrjanij bor presso Mosca. Giulia, la più giovane, fu il colpo di fulmine un anno più tardi di Gramsci, che la preferì, avendone anche due figli, uno a Mosca, uno a Roma, non riamato. Tatiana (Tania), la più anziana, fu la devota confidente a Roma di Nino nei dodici anni del carcere, e ne fu soprattutto la segretaria, fedele. Insieme le sorelle ebbero in mano – hanno “gestito”, insinuano allusivamente i biografi di Gramsci – gli originali delle lettere dal carcere, fino a lungo dopo la guerra.
Le tre sorelle sono pure il grande rimosso di Gramsci, proibito parlarne. In linea anche con l’unidimensionalità maschilista e politica (partitica, censoria, faziosa) del partito Comunista, e dei suoi tanti professori, inclusi i biografi Fiori e Vacca. Sono state colpevolmente trascurate in vita, cioè volontariamente, quando era possibile saperne molto, e sono ora soprattutto una miniera perduta. Specie per il lato oscuro di Gramsci, che egli, com’è noto, nelle lettere a Eugenia e Giulia definisce come una sorta d’impossibilità ad amare – seppure cautelandosi con i ricorrenti “esaurimenti nervosi”, e le conseguenti crisi di solitudine e violenza. Partendo nel 1922 per Mosca, ricorda Maria Luisa Righi, Gramsci dimenticò totalmente Pia Carena, con la quale aveva un legame intimo.
Anche le sorelle non erano semplici. Avevano altre due sorelle e un fratello, che presto si allontanarono dalla famiglia, per matrimonio o interessi – il fratello Vitja, Vittorio, Gramsci lo ricorderà dal carcere “come funzionario del ministro degli Esteri (traduzioni), come sensale d’affari, come giornalista, come attore drammatico in tournée e Samarcanda e dintorni”, e un po’ ignorante d’italiano, benché avesse fatto gli studi in Italia (“nel 1922 mi scrisse alcuni articoli che non potevano nemmeno essere corretti”). Il padre Apollon, erede di una fortuna russo-tedesca, era stato socialista rivoluzionario. Per questo era stato confinato con la moglie in Siberia subito dopo il matrimonio. Emigrò poi in Francia e a Roma, dove visse coi proventi dei depositi e titoli svizzeri e italiani, fino alla guerra, quando rientrò a Mosca. Nella rivoluzione passò con Lenin, legando al Partito Comunista le sue fortune – morirà rispettato nel 1933.
Tania aveva preceduto a Roma la famiglia, da cui si manterrà sempre separata. Si laureò in Scienze naturali e visse a Roma in autonomia, facendo l’insegnante in una scuola privata e dando lezioni di francese, sola, fino al rientro forzato alla vigilia della guerra nell’Urss, dove morì quattro anni dopo, nel ‘43, a 55 anni. Giulia s’era diplomata in violino all’Accademia di Santa Cecilia a sedici anni, alla vigilia della grande guerra, e fu molto innamorata di un giovane concertista, Yuri Gancikoff, che tornò in Russia volontario nella guerra, e morì combattendo nella rivoluzione contro le truppe di Kerensky. Si legò a Gramsci senza trasporto, e si rifiutò di seguirlo al rientro in Italia nel 1924, benché ne aspettasse un figlio. Arriverà a Roma un anno dopo, dove però vivrà da sola, benché abbia concepito con Nino il loro secondo figlio, lavorando all’ambasciata sovietica. Tornerà a Mosca prima della nascita di Giuliano, e corrisponderà svogliatamente col compagno, in carcere, malato. Eugenia aveva studiato a Roma pittura, all’Accademia, con Sartorio, ma senza profitto. Dominava Giulia, e si pretenderà “seconda madre” dei suoi figli, obliterando letteralmente la figura del padre. Sarà dominante anche tra le curatrici della seconda edizione delle “Lettere dal carcere” di Gramsci, che Togliatti fece preparare a Mosca nel 1941 e vedrà la luce nel 1947 da Einaudi. Entrambe, Eugenia e Giulia, avevano collaborato con Nadežda Krupskaja, la moglie di Lenin, al Narkompròs, il ministero dell’Istruzione – fu la Krupskaja a provvedere sollecita al ricovero di Eugenia in sanatorio quando ebbe i primi mancamenti, effetto della malnutrizione e del freddo.
La relazione torrida di Eugenia con Gramsci era al centro già dieci anni fa della ricostruzione romanzata di Adriana Brown. Un libro importante che, con minima cura editoriale, avrebbe meritato miglior diffusione di questa autoedizione, peraltro coperta dal silenzio – Righi la menziona in una riga, utilizzando invece ripetutamente la stessa fonte di Brown, Nilde Perilli, nei colloqui che questa ebbe con Adele Cambria, in “Amore come rivoluzione”, 1976. Adriana Brown si basa sui ricordi della nonna - Nilde Perilli - amica intima di Eugenia da quando andavano all’Accademia. Successivamente fu Tania e legarsi a Nilde Perilli, che la ospiterà negli anni a cavallo del 1930, quando Tania può lavorare poco per problemi di salute, e in più si occupa di Gramsci in carcere. L’amicizia strettissima fra Eugenia e Nilde si era rotta prima della guerra, probabilmente per motivi di uomini. Quando Eugenia torna a Roma come “seconda madre”, tuttavia, sia lei che Giulia saranno ospiti della vecchia amica.
Nilde Perilli fu una sorta di segretaria tecnica di Raffaele Bastianelli, il principe fascistissimo della chirurgia negli anni 1920-1930. Disegnava le parti anatomiche delle pubblicazioni del luminare, e di quelle di altri medici che frequentavano la clinica di Bastianelli. Aveva “conoscenze”, quindi, nell’ambiente medico, e si assegna nella ricostruzione di Adriana Brown un ruolo, su sollecitazione di Tania, per l’allentamento del carcere duro per Gramsci fino alla “liberazione”, a Formia e alla clinica Quisisana. Una donna comunque addentro ai segreti del regime. Sapeva della relazione impetuosa di Eugenia con Gramsci. È la sola testimone del ruolo egemone di Eugenia sulla sorella minore – lo aveva esercitato dapprima su di lei, l’amica dello schermo non bella, a Roma, dove Eugenia “viveva sola, circondata da una troupe di ammiratori, di amanti forse”. E dice spesso alla nipote che Giulia era ritenuta una spia, in forza alla Ghepeù, poi Nkvd. Maria Luisa Righi lo ricorda con più precisione, basandosi sui documenti: Giulia collabora con i servizi d’informazione dall’ottobre 1922, un anno prima di legarsi a Gramsci. Ma senza sorprendersene.
Maria Luisa Righi, Gramsci a Mosca tra amori e politica (1922-1923), “Studi Storici” anno 52, n.4\2011, pp.1001-1039
Adriana Brown, L’amore assente. Gramsci e le sorelle Schucht
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