giovedì 24 maggio 2012

Letture - 96

letterautore

Campanella – Barocco lo dice dice Carl Schmitt, “Il Leviatano”, p. 57. Confuso? Ma era e resta incisivo, nella fisica e nella metafisica – e nell’arte di cautelarsi. 

Candido – Ci sono 18 differenti edizioni, se non traduzioni, del racconto di Voltaire in libreria. Comprese le cinque maggiori collane di tascabili. Qualcuna con edizione multipla, commentata e no, e “per ragazzi”. È una ricerca di candore? È un lavacro, anche se ora più stizzoso che “candido”? È l’epoca che si sollazza di se stessa? È l’eroismo dei codardi? Altri “Candido” oggi si scrivono, in gran numero. A opera, prevalentemente, degli antipolitici, quelli della scorciatoia.

Conan Doyle – Fu medico e poi scrittore, molto è stato scritto sulla pratica diagnostica sulla formazione sherlockholmesiana. Corrado Tumiati, psichiatra e poi scrittore, posteriore di Doyle di una generazione, ne dà autonomamente testimonianza: “Alla medicina debbo molto. Le debbo lo spirito d’osservazione spregiudicato, il non fidarmi delle prime impressioni, il rispetto della verità e il riconoscimento dell’importanza del male, sia fisico che mentale, nella vita degli uomini” (cit. In “Zaino di Sanità”, Gaspari editore, p. 31).

Diario - “A giudicare dai libri di guerra”, notò a fine ‘41 l’antropologo Tom Harrisson sulla rivista “Horizon”, “la Gran Bretagna combatte per proteggere il mondo da Auden e Picasso, dagli ebrei e da ogni forma di collettivismo”. Harrisson sapeva, avendo creato nel 1937 Mass Observation, memoria collettiva di lettere, diari, testimonianze vocali. Mass Observation aveva inizialmente finalità di controinformazione (“che cosa veramente pensa il popolo”) e fu soppiantata nel dopoguerra dai nuovi centri di ricerca demoscopica, a uso commerciale o politico. È rinata trent’anni fa, all’università del Sussex, più propriamente come memoria collettiva. Antesignana della raccolta organizzata da Saverio Tutino a Pieve Santo Stefano. La raccolta di memorie e testimonianze è parte della microstoria, una metodologia di ricerca storiografica che ebbe una certa voga negli anni 1970. E in essa della testimonianza a preferenza del documento. Ma esemplifica soprattutto una partecipazione retrattile, se non chiusa in se stessi, alla vita comune – alla società, alla storia. Degli umili e indifesi ma non slo, anche protagonisti, veri o sedicenti, vi ricorrono. Per un rinnovato “disprezzo del mondo” medievale. Per essere respinti dal conformismo, dalla censura.

Intellettuale - Si dice che la Rivoluzione l’hanno fatta in Francia gli illuministi, mentre si sa che la fecero l’inflazione, la carestia, e il re imbelle. O che la rivoluzione d’Ottobre è di Lenin, che fino a pochi mesi prima era socialdemocratico, mentre l’hanno fatta i marinai teste calde, Trockij, e lo zar imbelle: un colpo di mano, di cui la città si accorse dopo qualche giorno, contro un Palazzo d’Inverno difeso da poche donne. Ora va di moda insolentire gli intellettuali, che in proprio sciamano a darsi identità e manuali. “Letterati della politica”, Max Weber li bolla sprezzante. L’intellettuale è solo. Nel Manoscritto trovato a Saragozza, libro pieno di donne ardite, si dava centocinquant’anni fa la scansione temporale dell’OPERA dell’uomo, perfetta, compiuta, in ore lavorate, giorni, settimane, mesi, anni e abitudini. A conclusione dell’OPERA c’era l’isolamento. L’insoddisfazione di tutto, e di sé. Ai tempi del Cid Corneille non era che “un buon uomo”, nota Stendhal, per l’aiutante di campo di Luigi XIV Philippe de Courcillon, marchese di Dangeau, che era invece membro dell’Accademia, autore di un Journal e di Mémoires che il duca di Saint-Simon prenderà con larghezza in prestito. La verità può essere modesta. O è che non inventa più nulla, l’intellettuale è decaduto. E non da anni o da decenni, ma da subito. “Non ci lasciano spostare un sasso”, lo constatava già Machiavelli. L’intellettuale-massa è solo. Non è adatto a governare, dice Gertrude Stein nell’intervista a “The New York Times Magazine” del 6 maggio 1934 per un motivo preciso: “Gli intellettuali hanno un’obliquità mentale. Con questo intendo che sono deviati, dalle loro intelligenze, dalle idee, dalle teorie, rispetto agli istinti che dovrebbero guidare il governo praticamente. I migliori governanti sono quelli che rispondono all’istinto, e nelle democrazie questo è più necessario che ovunque altrove”. 

Stein – Un altro “indubbio scrittore progressista” va aggiunto alla lista degli scrittori fascisti del Novecento, dopo Pound, Céline, Hamsun, Yeats e un po’ Eliot: Gertrude Stein. Si sapeva dell’inno a Hitler, ma era del 1934 e veniva etichettato come un errore. Ora uno studio esce negli Usa approfondito, Barbara Will, “Unlinkely Collaboration: Gertude Stein, Bernard Fäy and the Vichy dilemma”, di cui dà conto per esteso la “New York Review of Books”, che ne fa una collaborazionista, quasi.
Sua la rivitalizzazione della lingua letteraria, che ne fa la Grande Madre del secolo e americano, ben più attiva di Joyce, e anche di quello inglese. In aggiunta al suo gusto sicuro di collezionista intenditrice d’arte, che allevò e protesse Picasso, come si vede anche nel film di Woody Allen, “Midnight in Paris”. Segni di radicata apertura mentale, non di pregiudizi, non reazionari. Ma da una parte “arrivò a vedere la Cristianità come la salvezza della Francia”, annota Barbara Will, e questo imputa a un vecchio vizio, “il classico odio-di-sé ebraico”. Già da giovane, nota Will sulla testimonianza di Alice Toklas, Gertrude aveva sviluppo un “entusiasmo folle” per Otto Weininger. “L’unico ebreo decente” per Dietrich Eckart, nota Will. Che di Eckart fa “il mentore di Hitler”, e di Weininger, filosofo apprezzato da Wittgenstein, anticonformista, convertito al protestantesimo e infine suicida, a 23 anni, un antisemita sessuofobo.
Di più, Stein fu decisamente hitleriana. Non prematura né incostante, dice Will, poiché fu amica stretta fino all’ultimo di Bernard Fäy, noto antisemita e agente nazista. E fu protetta dai funzionari di Vichy durante l’Occupazione. Non pentita dopo.
Nell’intervista col “New York Times Magazine” del 6 maggio 1934, G. Stein esordisce con un “Hitler dovrebbe avere il Nobel per la pace”. Poi spiega: “Perché sta rimuovendo tutti gli elementi di contrasto e opposizione dalla Germania. Cacciando gli Ebrei e gli elementi democratici e della Sinistra, elimina tutto ciò che porta all’attivismo. Questo significa pace”. Miss Stein, nota ripetutamente l’intervistatore, non è una che parla a vanvera, che dica la prima cosa che le viene in mente col primo cha capita.
Non correlandolo a Hitler ma con insistenza diceva poi: “L’elemento sassone è sempre destinato a essere dominato. I tedeschi non hanno nessuna capacità di organizzazione. Possono solo obbedire. E l’obbedienza non è organizzazione. L’organizzazione viene da una comunione di volontà o da una comunità d’azione”. Senza essere razzista: “Non approvo le leggi che restringono oggi l’immigrazione in America. Lo stimolo di nuovo sangue ci è necessario”.
 
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