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Agiografia – Prevalentemente di se stessi, in forma di diario, confessione, memorie, ricordi, erratici o coltivati, è genere italiano fin dai primordi, dal “libro della memoria” di Dante – che D’Annunzio, cultore del genere, dice anche “libro della memoria che vien meno”.
L’artista si nasconde (presenta) nell’opera. Il letterato elabora, e con lui molti artisti in Italia, autorappresentazioni (celebrazioni). Secondo i canoni dell’agiografia sempre: predestinazione, genio represso, traversie, grazia. Per confluire nella santificazione spirituale, fosse pure nella sconfitta.
Una letteratura della superbia.
B - È il crimine che tratta il romanzo moderno più tipico, quello di Dostoevskij, confessione del suo e nostro tempo. È vero che già Petrarca, uomo affaccendato, per ritrovarsi dovette scriversi una lettera - era affaccendato soprattutto a scrivere, una cinquantina di libri e innumerabili lettere sostanziose, più spesso in latino, nonché a viaggiare, dove non fu? Era anch’egli, si conosceva, “più brillante che costante”, e letterato vero: sapeva costruire. Rousseau si scrisse di più. In gara con Casanova, che meglio seppe raccontarla, nel tempo libero dalla traduzione dell’Eneide, dai massicci romanzi, e dalle guerre-di-successione-al-trono-di-Polonia.
La confessione è il Concilio Lateranense del 1252, la confessione obbligatoria, alto Medio Evo. Una disgrazia, da cui il buon cristiano ha in cuor suo rifuggito, praticandola. Finché Freud non l’ha imposta quale medicina, terapeuta taumaturgo – i santi un solo vero miracolo fanno, soggiogare le coscienze, anche a fin di bene.
La confessione può essere il peggior peccato, Soldati lo spiega nel suo racconto. Artur London, la cui confessione Costa-Gavras ha magnificato al cinema, è per questo l’unico comunista che meritasse la forca a Praga. Ma si può prenderla alla larga con Zambrano, c’è un mondo fuori dalle questure. Prima di Petrarca il debutto dell’Occidente è un’opera di autoanalisi, la Vita Nova - si sottovaluta Dante. Successivamente, fu di confessione obbligatoria che Erasmo dibatté con Lutero, e non di esame di coscienza. Postillando: “La verità va detta, ma non serve in ogni circostanza”.
Sarà questo il “dovere della memoria” di Primo Levi, che il buono non sempre è il vero. Canetti distingue un “diario genuino” dai “diari falsificati”. Che sono però a volte “avvincenti” – “la loro attrattiva dipende dalla capacità del falsario”. Ancora prima c’è il solito Agostino, con i classici e il torbido Tucidide. E prima ancora Delfi e il “conosci te stesso”, la scrittura dell’io è nelle origini. Comprese le Scritture, che “conosci te stesso” dissero non si sa se prima o dopo Delfi. Ma forte avevano il senso dell’orgoglio, il peccato rimosso.
Dante – È un innovatore. Il “Purgatorio” fu la novità dell’epoca, da poco tempo creato dalla chiesa. Una novità non da poco, spiega Jacqueline Risset in un saggio del 1988, sull’autorità di Jacques Le Goff, che la novità ha studiato in profondità:: “La nuova istituzione… non costituisce una semplice aggiunta all’edificio religioso dell’epoca”, giacché fa saltare “lo schema binario( bene/male, inferno/paradiso)”.
Dante innova anche, seppure nel senso più vero della nobiltà introdotta col secondo concilio di Lione nel 1274, rispetto alla rappresentazione in uso, facendone la scala al paradiso. “Quando Virgilio e Dante, all’alba della domenica di Pasqua dell’anno 1300, discesi tutti i cerchi infernali, giungono sulla spiaggia dell’Antipurgatorio…. il senso di felicità è intenso, quasi paradisiaco”, esordisce Risset. Mentre “i racconti di viaggi nell’aldilà dello stesso periodo descrivono, invece, purgatori che sono dei veri e propri inferni”.
È uomo della speranza, come si confà a un politico.
Dante islamico 2 - La traduzione della “Escatologia” di Asín Palacios vent’anni fa, con annesso volume di polemiche, ha potuto giovarsi di un’introduzione di Carlo Ossola, che ne aggiornava la tematica fino agli anni 1990, e di una presentazione di Cesare Segre sul “Corriere della sera”. Non convinte, malgrado il plauso al lavoro del filologo iberico e alla traduzione – il giornale titolava “La Commedia di Maometto”. La lettura delle settecento pagine è una smentita alla tesi.
Gli editori italiani cauti presentavano l’“Escatologia” come “Dante e l’islam”. Un titolo sicuramente vero. Ossola si limita all’auspicio “di riaprire l’inventario della cultura romanza e neolatina disponibile a Dante” - che altro può auspicare un filologo? E di “Dante e l’islam” dice in sordina – in nota – che “il libro va letto oggi come un quadro, non come una radiografia”.
Asín Palacios non conosceva il “Kitāb al-Mirāj”, noto dalle traduzioni in latino e francese come “Libro della Scala”, che Cerulli ha tirato fuori nel dopoguerra – l’ha pubblicato nel 1949 ma l’ha rinvenuto “nei primi anni Quaranta”. Tuttavia, buon filologo, non escludeva modelli comuni, a Dante come a Maometto (p.126): “Senza grandi sforzi si potranno trovare elementi comuni tra la leggenda islamica e le ascensioni giudaico-cristiane apocrife di Mosè, Enoc, Baruch e Isaia”. Cerulli, che non conosceva Asín Palacios, non lo cita, ma era esperto di letteratura etiopica e diplomatico (governatore per alcuni mesi nel 1939, subito dopo l’occupazione italiana, dello Scioà, e poi per un anno dell’Harrar, bandito dall’Etiopia indipendente come criminale di guerra), praticava il Vecchio Testamento e si chiede anche lui quanto del “Libro della Scala” non fosse stato mediato dalle letture sacre. E dall’immaginario medievale che su di esse riccamente si è innestato. Dalle fonti sicure di Dante. Di cui qualche nome ancora si legge: la “Navigatio Sancti Brandani”, Giacomino da Verona, Bonvesin de la Riva, lo stesso Brunetto Latini, in molti viaggiavano nell’aldilà. E magari anche, perché no, dai classici latini, ben noti in Africa e nel Levante. Come le “Metamorfosi” di Ovidio, il maestro letterario di Date – Virgilio è il maestro politico del Dante ghibellino neofita. O come Enea e Paolo, di cui Dante dice in premessa: “Io non Enea, io non Paulo sono!”. L’Enea di Virgilio che negli Inferi prende visione della grandezza di Roma a cui è chiamato, e dell’unità nella giustizia dell’impero, e san Paolo che nella “Seconda lettera” scrive ai Corinzi di aver ricevuto gli “arcania verba” in un rapimento paradisiaco. La prima “Scala” di cui si ha notizia è quella di Giovanni Climaco, il “Κλίμαχ του Παραδείςου”, “Scala del Paradiso”, un santo del secolo settimo, di entrambe le chiese, latina e greca.
Il problema dell’islamismo di Dante è il problema della filologia delle fonti: come si forma il sapere? Va’ a sapere.
Oggi è comunque superato: oggi c’è solo da espurgare l’“Inferno” del canto XXVIII.
Piacere – Alla scrittura, e alla lettura, è diverso? E da che? Lacan ha il “godimento altro”, non sessuale cioè, per i mistici, gli artisti, letterati compresi, e le donne. In realtà il piacere resta indefinito. Ci provò a definirlo anche Manzoni, con risultati modesti. Ma Julia Kristeva, nel libro su Colette, azzarda l’ipotesi che il godimento altro non sia che “il segreto di ogni scrittura” o espressione artistica, di identificazione, come avviene per la donna, in “un piacere inumano, cosmico” – naturale, naturalistico.
Il piacere della scrittura sarebbe dunque femminile – dell’onnifemminismo?
letterautore@antiit.eu
giovedì 31 maggio 2012
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