“Lo sport è il crinale che separa il combattimento dalla sommossa”. Ci sono alcune intuizioni, sulla scia del Tour de France di “Miti d’oggi”, di cui queste note inedite (non ricomprese nelle opere) sono il seguito. Anche se Barthes non sembra al meglio, pur avendoci lavorato un anno, su richiesta e indirizzo del regista canadese Hubert Aquin, per un docufilm tv sullo sport nel mondo, che poi vinse il premio per la regia del festival di Cortina D’Ampezzo (1962). Queste note sono la traccia di montaggio e il commento del docufilm.
Lo stadio ha la funzione del teatro un tempo: riunisce “tutta la cittadinanza in un’esperienza comune, la conoscenza delle proprie passioni”. La curva è il “coro antico” – come dubitarne? più da Colosseo forse (ma non è detto che il coro delle “Trachinie” fosse più composto). Lo sport è una forma di socializzazione, si sa. Ma per molti è l’unica – e per questo sotto il tiro di giudici e giornalisti, i roditori dell’umanità.
Negli appunti preparatori - si arguisce da una lettera di Aquin - Barthes sostiene anche che nello sport non c’è erotismo. E qui non si capisce: che cos’è allora l’erotismo? E il tifo? Più spesso per un atleta che per la squadra. E il feticismo, così diffuso e insistito, la maglia, lo scarpino, la mutanda, il corpo dell’atleta?
Il progetto di Aquin era montato su cinque sport “nazionali”, in cinque paesi diversi. All’Italia il regista canadese assegnava le gare automobilistiche – era l’epoca di Fangio e Ferrari. I materiali scelti vennero poi da Sebring, in Florida, ma era allora, 1960, un’Italia che andava di corsa, dava questa idea, non mollacciona, piena di cicatrici, con l’affanno.
Roland Barthes, Lo sport e gli uomini, Einaudi, pp. 62 € 9
giovedì 31 maggio 2012
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