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Anima – Psiche, l’anima, Rohde figurò nella sua celebre opera filologica nella farfalla. Ossessionando l’amico Nietzsche, il quale finì per trovarle entrambe al bordello, Psiche e la farfalla, la volta che vi s’avventurò a Lipsia – prima quindi della prescrizione criminale dei medici a Torino. L’anima sant’Agostino inventò per la storia, per farne l’anima del mondo, o Hegel – nulla di personale.
È l’autentica dimora del tempo, dice sant’Agostino, e in questo ha una sua autonomia. Perché si darebbe altrimenti un’anima senza una fede?
Sostiene Foucault che “il genealogista ha bisogno della storia per esorcizzare la chimera delle origini, un po’ come il buon filosofo ha bisogno del medico per esorcizzare l’ombra dell’anima”
L’atleta è invaso dalla grazia, la sua anima è la Forza - lo Spirito Santo quando prende forma.
I carabinieri, direbbe Hegel, sono l’anima del mondo, la memoria elefantiaca della burocrazia.
Debito – È condizione metafisica – incolpevole – di colpa. Elettra Stimilli ne ha fatto l’anamnesi in “Il debito del vivente. Ascesi e capitalismo”, ognuno lo registra con il governo “tecnico”. Apparentemente asettico, cioè non di parte e senza pregiudizi. Ma anch’esso di una cultura, quella della colpa – originale, perenne.
Informale - Non si fanno più partiti e sindacati ma reti, non si aspetta un programma ma lo si elabora, non c’è più organizzazione (gerarchia) ma movimento. È morfologicamente la situazione rivoluzionaria, degli atomi liberi di ricomporsi, ma in un quadro di controllo sociale totale. Anche dell’informale.
Morte - La morte è poco filosofica: sempre si è nati, e si è vivi. A prova del contrario il filosofo Antistene più volte tentò il suicidio, ma lo fallì. Il senso della fine è delle storie, nei romanzi, la politica, l’impresa, che sono un surrogato e non un quadro della realtà, e vanno a un fine, il premio, il primato.
“Lo scopo della vita è la morte” e “il non essere esisteva prima dell’essere” sono di Freud, di chi altri sennò, la cultura del lutto. Che Heidegger avalla: “La storicità autentica è l’essere-per-la-morte”. Ma filosoficamente l’essere, la vita, esiste prima dell’esserci, qui e ora, e continua dopo la morte. Il dottor Freud dice bene: “Ogni essere muore necessariamente per cause interne”. La realtà entra in noi, che la realizziamo, molto prima di essere. Come presagio, desiderio, rovina.
Potere - “È strano che la tesi del potere cattivo abbia cominciato a diffondersi a partire dal XIX secolo”, insinua Carl Schmitt nel “Dialogo sul potere”, 1954. con la morte di Dio. O non dal Settecento? Da Rousseau, a torto legato al’attivismo (efficientismo delle leggi, degli apparati) dell’illuminismo, di Montesquieu, Voltaire, Diderot, D’Alembert, Kant. Dal momento in cui, si corregge C.Schmitt, si è voluta l’umanizzazione del potere”: “Il detto «Dio è morto» e l’altro «Il potere è in sé cattivo» nascono nel medesimo tempo e dalla medesima situazione. E in fondo significano la stessa cosa”.
Raccontare – È utile, filosoficamente: forma il reale dall’irreale.
Storia – Alcuni storici la dicono un gioco. Di abilità per far combaciare gi interstizi, Ginzburg. Pirenne ha coperto che di testimoni non ce n’è due che diano identica versione dei fatti.
La storia è alla fine poesia. Perché no? È contemplazione del mondo, trovò Burckhardt, una serie di belle composizioni pittoriche. La storia è arte, dice Huizinga - e l’arte è storia in Gadamer. Musicale e plastica per Novalis. Tra divinazione e retorica per Arnaldo Momigliano. È “i balconi del cielo\dai quali gli anni trascorsi guardano\in abiti vetusti” di Baudelaire. La storia è un libro che siamo forzati a scrivere e leggere senza posa, e in cui siamo scritti, aggiunge Carlyle.
Già Quintiliano lo sa: la storia è vicina ai poeti e in certo modo è poesia senza versi. È poesia senza metro, dirà Pontano. Come a suo tempo Omero: gli dei mandano le sventure agli uomini affinché le generazioni future abbiano di che cantare. Non c’erano infatti storici in Grecia, nota Cristoforo Landino, quando Omero narrava eroi e battaglie attorno a Troia. La storia è letteratura. Nel Medio Evo era ancora fabula, attesta Chabod, da cui trarre voluptas e iucunditas. È il “romanzo che è stato” dei fratelli Goncourt – e il romanzo storia che avrebbe potuto essere: lo storico è un romanziere del passato, i romanzieri sono gli storici del presente, lo sostiene pure Samuel Johnson, e Duhamel. Con Vattimo: la storia è storie. Va per sue intime armonie, nell’insostanziabile arte del racconto.
Borges la vede allora dall’altro lato: “Forse la storia universale è la storia di alcune metafore, forse è la storia delle diverse intonazioni di alcune metafore”, e “oratoria”, e “una delle tre forme della narrazione”- e naturalmente una biblioteca, la solita storia di babele. Ma aggiunge: se non si legge la poesia con gli occhi della storia, ben poca sopravvive. La storia è confusione per Pasolini. Favola convenzionale per Fontenelle – accettata dirà Stendhal, che ne fu il romanziere. Sarà il grande aneddoto di Procopio, e di Novalis. Ma l’aneddoto di Procopio è cosa non vista, segreta. Sì, la storia è sempre sorprendente – sicuro, s-s-s. È ionica, dorica, romana, tartara, vichinga, ebraica, errante, classica, e modernista. Quella della Cabala è una casa con molte, moltissime, stanze, ognuna delle quali ha una chiave, ma non è quella giusta. È voglia d’immortalità. Lo dice subito Erodoto: il mio scopo è preservare dalla decadenza quanto gli uomini hanno fatto. E Omero, pure la poesia è voglia d’immortalità. Lo è ancora per Benjamin entusiasta: la storia è uno dei fiori che girano la corolla verso il sole. Benché, secondo Aristotele, la poesia narri il generale e la storia il particolare. Né si può confondere, spiega Weber: chi come infante entra nella ruota della storia finisce stritolato.
Ma per narrare, che è come scrivere, bisogna stare fermi. Mentre per la storia bisogna muoversi. Il passato è più arduo da scoprire dell’avvenire: a questo porta una sola traccia, al passato le tracce sono numerose e nessuna esclusiva, se non per l’albagia dello storico. Senza sua colpa, lui solo sa quello che sa. Ciò che si scrive, che è stato scritto da sempre, sempre si riscriverà. La storia è tecnica, cioè progresso, diceva Sterne, ma scrivere non è che un sinonimo di chiacchierare. Il libro è illusione che si perpetua. E la storia?
La storia non dà scampo all’uomo, la cui unica certezza è la morte, e in questo modo l’eternità si realizza nel tempo. Sarà “impenetrabile, e sommerge la ragione e ogni conoscenza”, come voleva Herder, ma è in realtà l’epifania del sacro: anche la storia profana, delittuosa, è sacra - poiché tutto è sacro, quello che l’uomo pensa.
Tempo - Il punto di partenza è Gioacchino da Fiore, la teologia trinitaria della storia. Secondo la quale il Figlio è succeduto al Padre e ora si attende lo Spirito Santo. Bisogna attendere, la verità fu all’inizio e poi non più.
Per fortuna? Se tutto fosse chiaro non ci sarebbe storia, né filosofia, neppure i sogni ci sarebbero, come nel paradiso terrestre, dove non si sapeva che fare.
Uguaglianza – Resta quella di Hobbes, “De Cive”, I, 23: del più debole che può nuocere al più potente. E della morte: chiunque può uccidere chiunque. Sempre in chiave di violenza.
zeulig@antiit.eu
venerdì 25 maggio 2012
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