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Amore – È la ricerca della metà perduta, secondo l’Aristofane-Socrate-Platone del “Simposio”. Si può anche dire così, ma dice meglio “la ricerca di sé nel diverso”. Un compimento, ma all’esterno di sé.
Presuppone comunque un’anima, nel senso spirituale e non animale della parola: il desiderio e una speranza (ricerca, scoperta). Il resto – la tensione orgiastica – è biodinamica: roba di proteine, ormoni, cicli, etc.
Anima – Era collettiva all’origine, nel peccato originale. Era quindi una colpa, di cui le anime singole nella storia si liberano. Nella Grecia antica immergendosi nel Lete, il fiume dell’oblio. I cristiani sostituirono al Lete il Giordano, facendo del rito purificatore una rinascita e del suo ministro il precursore della salute.
La sua immortalità è il trionfo del femminile? “Con la teoria dell’anima mortale”, spiega Hume, “l’inferiorità della donna trova facile giustificazione”.
Nelle catastrofi balena l’anima.
Ma può succedere all’anima come alla vista, di essere miope
L’anima immortale, che supera (rende “buona”) la morte, è già nell’“Assioco”, dialogo forse platonico (argomenta il solito Socrate) - insieme col giudizio universale, il paradiso e l’inferno.
Catone il Vecchio dice che l’anima di chi ama vive dentro quella dell’amato. L’anima sarebbe dunque amore. Risolvendo il dubbio dell’anima, dell’etimo, che non sarebbe più vento.
È Claudel che pone la trinità di Animus, Anima e Anemos, l’ultimo essendo in greco il vento, cioè lo Spirito Santo, gli altri due il Padre e la Figlia. L’anima sarebbe qui figlia - per gli antichi era Psiche, la farfalla.
Ma è per questo che non c’è più anima? L’anima non c’è perché l’amore è incerto?
A lungo l’anima s’è identificata col genio familiare o del luogo, l’angelo protettore, il cui idolino, in forma di statuetta consacrata da un astrologo, era posto accanto al corpo, che seguiva fino alla resurrezione. Era facile così ritrovarsi.
L’equivoco nasce con Gesù, che in san Giovanni fa testamento: “Chi ama la propria anima la perderà, chi odia la propria anima in questo mondo la conserva per la vita eterna”. Come dire che bisogna vivere senz’anima, questo Gesù sembra Freud.
La frase “può intendersi in due modi” per sant’Agostino, arrampicato sugli specchi: “Se ami la tua anima devi essere pronto a perderla; se vuoi conservare la vita in Cristo non devi temere la morte per Cristo”. Come dire che per amare qualcuno devi annientarlo, e questo è Wilde. Oppure, come dice il santo: “Non amare la tua anima se non vuoi perderla, non amarla in questa vita se non vuoi perderla nell’eternità”. Il cristiano deve quindi rinunciare non solo al gelato o alle carezze ma ad essere, almeno in questa vita – nell’altra non si sa. “Solenne e stupenda affermazione”, si monta Agostino, “se ami in modo sbagliato odi; se odi in senso buono ami”.
L’anima secca è la più saggia pure in Eraclito.
Confessione – È pratica sociale - pochi veramente si vergognano, e si pentono, tra i preti sopratutto, ma anche tra i fedeli - e plebea. La memoria è parte della psiche: ricostruisce ma costruisce, anche, e inventa, qualsiasi sbirro sa che indurre al ricordo è facile. Presto o tardi la maggior parte dei carcerati sente il bisogno di confessare. A chiunque, qualsiasi cosa. Non di punirsi, ma di raccontarla.
Corpo - Con Giordano Bruno si può dire, e con Plotino, che non l’anima è nel corpo ma il corpo è nell’anima. A lungo il corpo è stato l’anima del mondo, il corpo di Cristo, dei santi, del re. A conferma e pena degli arcipuri, che opera di Dio vogliono solo il mondo invisibile, l’incarnazione lasciando al demonio, regno del male, per essere insieme natura invisibile e corpo del divino. Anche se, direbbe Leone Ebreo, tecnico dell’Amore, “la corporenzia è una in tutti i corpi”: ci vuole un po’ d’anima in ogni corpo.
Discorso – “L’ontologia non è quello che c’è, ma il discorso su quello che c’è” – Maurizio Ferraris, direttore del Labot a Torino, laboratorio di ontologia, in “Manifesto del nuovo realismo”, p. 46. Il “discorso” è l’epistemologia. La quale, anche se fallace, non è quello che si sa ma quello che si dice. E chi ha un altoparlante lo dice meglio, lo diffonde, si fa ascoltare e credere. È il discorso del padrone – “L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone” è una commedia di Dario Fo del 1969, su un aforisma di don Milani.
Non è vero in assoluto ma lo è nella realtà storica “L’ordine del discorso” con cui Foucault inaugurò nel 1970 le sue lezioni, ribadito nella “Microfisica del potere sei anni più tardi: “L’esercizio del potere crea perpetuamente sapere e viceversa, il sapere porta con sé effetti di potere”.
Memoria – È narrazione, in Proust e Benjamin, ma già in Omero.
Mitica – in Proust è borghesizzata: scandita (tempi e luoghi), selettiva.
Morale - Da che si evince? Uno cerca la morale della morale, dice Ingeborg Bachmann, e i conti non tornano. C’è Dio, ma chi ne sa nulla. Darwin lo dice un istinto, come quello che regola le api nell’alveare. Il punto è: cambia qualcosa, cambieremo noi tutto, o siamo parte di quei moti oscillatori, indecisi, della storia? La storia è pesante.
Storia – È nella storia il senso delle cose, più che nella filosofia. Tutto è storia, la letteratura, l’arte, la filosofia, la scienza, la percezione che se ne ha di esse. Lo disse anche Croce, non volendo: “Non basta dire che la storia è il giudizio storico, bisogna soggiungere che ogni giudizio è giudizio stori-co, o storia senz’altro”. E anche: “Pensare è fare”. Pensare che è la verità – veritas filia temporis, diceva Gentile: “La filosofia è storia”.
La storia è inventrice e conservatrice di ogni arte a partire da Bodin. Ma c’era già tutto nella storia di Casaubon: “È in un certo modo filosofia pratica. L’unico genere letterario che insegna sapienza e prudenza insieme. È lo specchio delle azioni umane. La prora e la poppa della scienza politica. Capace di trasformare uomini nati inesperti e idioti in uomini capaci di azione, capaci di compiere anche le imprese più ardue”. Benché “somma di situazioni e azioni tale da non ammettere le sottigliezze dei cavillatori né di indugiare in esse”. La storia è tutto questo essere che è esistere.
Croce non ne era certo: “È metà”, disse anche, “della filosofia e della filologia”.
Cicerone voleva la storia testimone dei tempi, luce di verità, vita della memoria, maestra di vita, araldo dell’antichità: la prima legge della storia consiste nel dire niente di più e niente di meno della verità, assicurava l’avvocato romano. Pure Cervantes, per dire che conosceva il latino, fa la storia madre della verità, emula del tempo, depositaria delle azioni, testimone del passato, annuncio del presente, monito per il futuro.
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