Giuseppe Leuzzi
Quando il papa incoronò Carlo Magno, a Bisanzio dissero: “Il papa dell’antica Roma è nelle mani dei barbari”. Sbagliavano? Lutero butterà la maschera.
Da un paio di decenni, da quando i giudici della Procura di Milano sono napoletani, non ci sono più delinquenti napoletani a Milano. Sono calabresi.
Emilio Fede corruttore di minorenni (Ruby), prosseneta, ricattatore (di Berlusconi), e trafugatore di capitali in Svizzera. Volano gli stracci, usa dire, e Milano si diverte così. Ma – poiché Fede non è nessuna di quelle triplici incarnazioni – sarebbe stato “Emilio Fede” se fosse stato veneto, oppure piemontese, invece che siciliano?
Breve storia del Nord – 3
Al Nord il vizio non c’è, spiega Pope nel “Saggio sull’uomo”: “Ma dove al vizio estremo mai s’è consentito?\Chiedi il Nord dov’è: a York, o sulla Tweed,\in Scozia, alle Orcadi, e lassù,\in Groenlandia, Zemlia, o Dio sa dove”.
In realtà Pope dice “Zembla” e non Zemlia, che sarebbe la terra. Zembla sarà la futura patria del protagonista di Nabokov in “Fuoco pallido”.
Poi venne il giovane Coleridge, che sfruttando la fama del padre Samuel lanciò il genere della “Biographia Borealis”, o “Vite di Settentrionali Distinti”.
Il consolidamento si farà con la scoperta dell’“arianesimo”, in Inghilterra e poi in Germania. Il Nord fu così pacificato. Carlo Cattaneo poteva nel 1840 rilevare arguto che “le magiche peregrinazioni degli Ariani” fondavano “la eccellenza e la nobiltà del Settentrione”.
Con l’Italia fu lasciata fuori la Russia, di cui a tratti si negò che fosse abitata da slavi. Marx voleva i russi ricacciati “al di là del Dniepr”, in quanto mongoli e quindi non indogermanici: i russi, diceva, “non sono slavi”. Mentre spagnoli e portoghesi furono a lungo tedeschi, dovendosi esportare l’“arianesimo” in America Latina e nelle Filippine. Nel 1865 l’Anthropological Review di Londra scoprì “una famiglia spagnola bionda e puramente gotica” nello Yucatàn. Ma durò poco, l’“arianesimo” è religione del Nord per il Nord.
Più tardi nel secolo Giuseppe Sergi, siciliano di Messina, fine folklorista, scoprì che gli europei in blocco vengono dall’Abissinia. Giunti in Europa, presero due direzioni, il Nord baltico e il Sud mediterraneo. Quelli del Sud, dice Sergi, “per parecchio tempo dovemmo difenderci dai barbari ariani”. Sembrava una conciliazione e invece manteneva, seppure sottile, la distinzione. Il suo discepolo Luigi Pigorini, pur ribadendo l’unitarietà ancestrale in Abissinia, riconobbe senza esitazioni la civiltà al Nord, tra i baltici “ariani”.
Il Nord sarà poi molto in voga nel nazismo. Suscitando reazioni e ire nel fascismo. Julius Evola si disse per questo orgoglioso “ariano mediterraneo”, contro l’“ariano nordico”. Ma inciampò nella “categoria superiore” del “romano nordico” rispetto al “romano-mediterraneo”.
Evola non aveva torto, anche Roma è nordica: i romani non sono dolicocefali biondi, ma erano legislatori, soldati, e padri di famiglia, tutte virtù settentrionali. L’ha riconosciuto nel 1924 il “New York Times”: “Nella marea nordica che affluì in Italia (dai goti in poi, n.d.C.) erano gli antenati di Raffaello, Leonardo, Galileo, Tiziano…” - non di Michelangelo, notare. Lo stesso Colombo, “a guardarne i ritratti, autentici o meno, era chiaramente di origine nordica”.
Il discorso è la realtà - 2
“L’ontologia non è quello che c’è, ma il discorso su quello che c’è” – Maurizio Ferraris, direttore del Labot a Torino, laboratorio di ontologia, in “Manifesto del nuovo realismo”, p. 46. Il “discorso” è l’epistemologia. La quale, anche se fallace, non è quello che si sa ma quello che si dice. E chi ha un altoparlante lo dice meglio, lo diffonde, si fa ascoltare e credere. È il discorso del padrone – “L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone” è una commedia di Dario Fo del 1969, su un aforisma di don Milani.
Non è vero in assoluto ma lo è nella realtà storica “L’ordine del discorso” con cui Foucault inaugurò nel 1970 le sue lezioni, ribadito nella “Microfisica del potere sei anni più tardi: “L’esercizio del potere crea perpetuamente sapere e viceversa, il sapere porta con sé effetti di potere”.
Si dice così la famiglia al Sud patriarcale, anche se nessuno ha mai saputo di un matrimonio imposto a una figlia.
“Nulla conta fuori del testo”, si può convenire nelle realtà subalterne con Derrida, “Grammatologia” – sbagliato ma vero.
Calabria
“Uno dei più straordinari paesi che si trovano in Europa”, la disse Jean-Claude Richard de Saint-Non, più noto come Abate d Saint-Non, parigino, incisore, archeologo, viaggiatore in Calabria e Sicilia dopo girato l’Inghilterra: “E, sicuramente da molto tempo, uno dei meno conosciuti”. Allora, 1778, come oggi.
Fu greca (bizantina) ma di Alessandria d’Egitto. Il rito greco calabrese non era quello di san Giovanni Crisostomo e san Basilio, in uso a Costantinopoli, in Grecia e in Asia Minore, ma quello di Alessandria d’Egitto, di provenienza siriaca e palestinese – dei monaci in fuga dagli arabi.
Reggio subì una mezza dozzina d’invasioni arabe in un secolo, dopo l’arabizzazione della Sicilia. In un paio la popolazione non fece in tempo a fuggire in montagna e venne sterminata. Sempre fu saccheggiata, e bruciata.
Nella (larga) parte sconosciuta della sua storia, la Calabria, appena così fu denominata da Bisanzio, fu per alcuni secoli un avamposto contro l’accerchiamento arabo. Spesso con le sue sole forze. Gli arabi spesso occupavano e coltivavano un paese o un’area per decenni, anche per molti decenni. I borghi costieri si trasferirono a monte: Locri a Gerace, Caulonia a Stilo, una vetus civitas a Nicastro. Niceforo Focà, il generale armeno capostipite della dinastia bizantina, dopo aver liberato nell’885-886 la Puglia e la Calabria dai Saraceni, istituì il tema di Calabria accanto a quello di Longobardia - le propaggini settentrionali della penisola calabrese fino all’attuale Puglia centrale. Un secolo dopo i due temi furono fusi nel “catepanato” per l’Italia. Capitale del catepanato fu Bari, che aveva alle sue dipendenza lo stratega di Calabria a Reggio.
Le città erano chiamate kastra perché erano fortificate. Le basi militari non urbane erano dette castelli. Servivano anche come rifugio per gli abitanti dei borghi e i monaci dei monasteri quando, frequentemente, sbarcavano i saraceni, per razzie o occupazioni. Tre secoli di guerre.
Fu anche l’epoca in cui il crogiuolo levantino caratterizzò pure il catepanato: con gli autoctoni convivevano greci, slavi, ebrei, orientali in genere, e arabi. Nasser, l’ammiraglio maronita della flotta di Bisanzio che alla fine del decimo secolo annientò la flotta araba a Reggio e poi a Palermo, lasciò nella città calabrese il figlio Leone, che con i suoi figli diverrà uno dei maggiori possidenti della zona.
Ancora sotto i Normanni la Calabria parlava quattro lingue: greco, latino, arabo, volgare.
Tra i dieci cognomi più diffusi ad Aosta otto sono di origine calabrese. Undici sui primi quindici. I primi in classifica sono Mammoliti, Fazzari, Giovinazzo. Il primo autoctono, Bionaz, viene al sesto posto. È uno dei dati più nuovi della rilettura dei cognomi d’Italia che l’Anci, l’associazione dei comuni, fa nella sua rivista.
Non è un caso singolare, la geografia dei cognomi al Nord è da un paio di decenni mutata. Ma mentre i cinesi hanno “scalato” Milano (il cognome Hu è al quarto posto, prima di Bianchi, Villa e Brambilla, Cheng al decimo), e i pakistani Brescia e l’altrettanto ricco veronese, i calabresi hanno solo cambiato montagna. Per una, anzi, più fredda.
“C’è chi avuto i gesuiti e chi i cappuccini”, celia un personaggio di Astolfo, “La gioia del giorno”, in Angola, per spiegare l’arretratezza della società civile. La presenza fa nei secoli l’ossatura dei popoli, come l’assetto politico e quello sociale. C’è in Europa chi ha avuto san Benedetto, o i cistercensi, o anche i domenicani, e chi no. La Calabria ha avuto il monachesimo basiliano. Molto diffuso, ma di monaci in realtà che non seguivano una regola né si costringevano a un’organizzazione. Alcuni erano colti, e anche molto colti, molti del tutto ignoranti. E non coltivavano né organizzavano alcunché ma vivevano di elemosina.
Lo stesso nome è tardo: i monaci sono ovunque in quantità in Calabria dall’VII secolo, a partire dalle invasioni arabe in Palestina e dalla lotta iconoclastica a Costantinopoli, dalle quali fuggivano, ma vengono denominati “basiliani” per la prima volta in un documento del 1382 – la fondazione dell’ordine quale oggi si conosce è successiva, nel 1579, a opera di papa Gregorio XIII.
leuzzi@antiit.eu
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