Giuseppe Leuzzi
Ci ricopre il gran Milano
di pii istituti, trote, legati,
coi formiconi e i penati,
e le turbe degli intercettati,
di morale come il guano
Il professore milanese Mario Monti va sabato a Bergamo, si rivolge ai “cittadini dell’Italia settentrionale”, e dice: “Spesso noi settentrionali e lombardi siamo penalizzati a causa di sacche di evasione che si annidano forse in altre aree del paese”.
C’è – c’era – un’aria bokassiana, apprezzata nella Lega, di smargiassate non sempre innocue o per ridere. Con precedenti. La famigerata Legione autonoma Ettore Muti che impaurì la città nel 1944, torturando e assassinando, aveva un comandante, Francesco Colombo, che era un sergente dell’Esercito, autopromosso colonnello all’8 settembre. E un vicecomandante, Ampelio Spadoni, che da caporale si era fatto tenente colonnello.
Dario Di vico si meraviglia sul “Corriere della sera” che un grande gruppo cinese abbia fatto la vacanza premio per i suoi quadri e dirigenti, 2.800 persone con il coniuge, a Milano. E si congratula che la Lega avesse negli stessi giorni altri problemi. Dario non è milanese, e il “Corriere della sera” è il maggior giornale italiano, ma il provincialismo è d’obbligo a Milano.
Si fa sempre l’editoria e l’opinione a Milano, e non è un bel vedere.
Sempre vi si è fatta, è la prerogativa di Milano e la sua dote costante, dacché l’Italia esiste. E non è una bella storia.
“La Storia della colonna infame” non piacque quando uscì, nel 1842. Lo racconta Croce in “Alessandro Manzoni”: Manzoni vi sostiene, dice Croce, che “nonostante le leggi e i pregiudizi del tempo, nonostante la tortura”, i giudici avrebbero potuto assolvere i rei predestinati, se “avessero accettato l’evidenza dei fatti, senza lasciarsi traviare, come fecero, da passioni e interessi”. La cosa non piace a Corrado Stajano, che in “La città degli untori” addebita l’insoddisfazione allo stesso Croce.
È sempre Mani pulite a Milano, la città se le lava in continuazione, igienista. Buttando la merda al piano di sotto”, diceva Malaparte.
Stajano, pur viaggiando in “La città degli untori” nelle infamie di Milano, tortura e opportunismo compresi, salva la giustizia politica.
Il Sud all’opera
Non c’è. C’è molto Medio Oriente all’opera, c’è anche la Spagna, ma non il Sud. “Cavalleria Rusticana”, novella di Verga e ottima musica, è di Mascagni musicista toscano, ed è un caso unico.
Il “Sud” sembrerebbe più di tutti melodrammatico, di trasporti, collere, incantesimi estremi. Ma Bellini, Cilea, Mercadante, Cimarosa, Pergolesi, Paisiello, gli operisti meridionali l’ hanno evitato, i grandi operisti italiani e europei lo hanno ignorato. Non era abbastanza esotico.
Oppure: l’opera essendo genere borghese, il Sud non rientra in quell’immaginario. Se non ne è il fondo nero, la persistenza di ciò che non deve esistsre, non ha titolo.
Breve storia del Nord – 5
Il Nord nasce sassone, all’università Georgia Augusta di Gottinga, fondata nel 1734 fondata da Giorgio II, Elettore di Hannover e Re d’Inghilterra, per fare la classifica delle razze. Primi i sassoni, i popoli del principe.
Karl Ottfried Müller vi rifece la storia antica, l’inevitabile sancendo dai “Prolegomena”: “Pelasgi, dori e achei, al pari dei goti, sassoni e franchi, costituirono a lungo una nazione per via della loro natura fisica e spirituale”. Non per ridere: K.O.Müller resta colui che “gettò la base incrollabile per la ricostruzione della storia antica” per Wilamowitz-Moellendorf incontestato. E non è molto che Dumézil, allievo di Mauss, francese, ha coronato con Marc Bloch, ebreo e francese, il sogno dei tedeschi, trasformandoli in dei, dai beserkir d’Islanda sbollentati alle SA, e guerrieri, atleti tarzaniani con mustacchi, i poignets d’amour stirati ai manubri.
“Da dove viene?” è quesito razzista. Il razzismo nasce quando i nordici, fatti ricchi e potenti, non avendo altro passato che carne cruda, capanni di frasca e giacigli di sterco, chiedono: “E gli altri, da dove vengono?” E si arriva, girovagando, al logos greco che, non potendo che “venire da fuori”, viene dal Nord, schiuma di renna e albe iperboree, essendo il Sud e l’Oriente noti. E all’esclusione. “Bianco è il colore della virtù?”, si chiede il nero del “Flauto magico”, ed ecco, bianca è l’Europa, candida. Il bianco è Navigatore, Conquistatore, Creatore, Eroe di cappa e spada, penna, canto, di più al Nord estremo, dov’è esangue, e Virile, a fronte dei neri sterili, seppure macrofallici.
Corrado Alvaro
R.Bilenchi, “Amici”, p. 14, che nel 1931 risiedette a Torino per collaborare con Maccari al “Selvaggio”, ricorda che Malaparte, direttore della “Stampa”, impertinente col fascio e con la proprietà, aveva creato un premio letterario intestato al giornale “e, per fare dispetto a Mussolini, lo aveva fatto assegnare a Corrado Alvaro, che non era iscritto al partito ed era un noto, irriducibile, antifascista”.
Lo stesso Bilenchi, in udienza a Roma a palazzo Venezia con altri giovani intellettuali fascisti, ricorda, p. 74, che Mussolini, “quando riceveva una personalità del mondo cattolico”, nominava Papini “il più grande scrittore italiano” vivente, e quando invece aveva un colloquio con qualcuno “notoriamente laico e poco entusiasta del regime”, o con uno straniero, nominava Corrado Alvaro, perché “conosciuto da tutti come democratico e antifascista”.
Ma di Alvaro non si parla da alcuni decenni se non per dire che elogiò la bonifica delle paludi pontine. Bisogna negare la realtà: è il principio della “questione meridionale”. Sovrapporle l’idea o il “discorso”.
leuzzi@antiit.eu
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