Come s’“incarta” la satira, che però puzza avariata. A opera del più lieve forse, se non il più illuminato, dei redattori e consulenti editoriali. Sulla perfidia di Rochefoucauld, che ci vede sollevati alla morte di un amico, sopravvissuti, Swift si anticipa le gratificazioni dei conoscenti alla sua propria morte. C’è da ridere. Terzi ci impianta una piccola enciclopedia: sull’arte del tradurre, la psicologia, la necrologia come genere letterario, la cortigianeria… Del genere: “La metrica non fa parte dello stile? Direi di no”. Come di no, se ha prodotto himalaia di ottima poesia? Salvo salvare l’inutile: “C’è un solo vincolo… Ogni verso dev’essere tradotto con un verso, e il numero totale dei versi nella traduzione dev’essere uguale a quello del testo originale”. Per concludere al contrario: “La metrica di Swift... è molto semplice: versi di otto sillabe in distici a rima baciata. Questo dà luogo a un verseggiare energico…” - o scuola di scrittura o fuffa?
Il gusto è intatto, e la versatilità. Ma proprio per questo il risentimento monta: qui Terzi tradisce il suo Swift – che invece rivive altrove, nei racconti.
Lodovico Terzi, L’autonecrologia di Jonathan Swift, Adelphi, pp. 101 € 9
lunedì 28 maggio 2012
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