Già il titolo è strano. Noventa fu un ossimoro vivente del Novecento, volendosi moderno in quanto tradizionale, libero in quanto cattolico, e costruttivo in quanto distruttivo: dell’idealismo (“Io e il mio Dio), del “trio” (Saba, Ungaretti, Montale), dell’ermetismo (oscurità lessicale), del simbolismo (mascheramento), della poesia pura (insignificanza), nonché della “scuola torinese” (Gobetti, Debenedetti), che peraltro lo accudiva e proteggeva. E innovativo in quanto dialettale, (“seguo l’esempio” - di “Dante, Petrarca e quel dai Diese Giorni”), in una lingua sua, “tra ‘l veneziano e l’italiano”. Fu per questo isolato nel dopoguerra - e per ragioni politiche, incontrollabile al dirigismo cominformista - benché abbia avuto a sodali e discepoli nomi illustri, Soldati, Debenedetti stesso, Fortini (Lattes), Pampaloni, Guttuso, Carlo Levi e molti altri.
Letterato quanti altri mai attivo per circa quarant’anni, fino alla morte nel 1960. Dapprima a Torino, all’università, con Soldati, Levi, Debenedetti. Poi in un lungo giro di formazione in Francia e Germania. Quindi per alcuni anni a Firenze, con Carocci e “Solaria”, la rivista di Carocci, e con “La riforma letteraria”, che entrambi editarono sulle ceneri di “Solaria”, di una letteratura creativa aperta alla critica e alla filosofia. Nel dopoguerra di nuovo a Torino, nel giornale socialista “Mondo Nuovo” dapprima e poi con Adriano Olivetti. In fine, dal 1955, a Milano, dove collaborò con Alberto Mondadori alle “Silerchie”, la collana del Saggiatore, e con Vittorio Sereni allo “Specchio”. Nobile veneziano ricco di famiglia, fu più volte fermato come sovversivo dalla polizia fascista, e attivo nel socialismo liberale nel dopoguerra, con Garosci e Soldati.
Bastian contrario per vocazione, non aveva però tutti i torti. E le poesie, le uniche cose circolanti della sua larga produzione letteraria e filosofica, lo dicono perfino un classico minore. Nell’elegia sui toni discorsivi dell’assenza, della fine, e della meraviglia. In versi cantanti, decasillabi, ottonari. Molti d’occasione, per gli amici, per i Mondadori, per gli Scheiwiller. Le idiosincrasie visse come fatto di ruolo, è uomo e poeta senza malanimo - versi affettuosi scrisse per “Giacomino” (Debenedetti), Saba, lo stesso Croce.
Giacomo Noventa, Versi e poesie
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