astolfo
Capitalismo – Il papa, che lo sa, l’ha ricordato indirettamente a Milano ricordando san Carlo Borromeo: il capitalismo è cattolico e lombardo piuttosto che protestante e transalpino, per la salvezza che si cerca e viene con le opere e non per caso, come segno della grazia divina. Nella spesa più che nel risparmio, o l’avarizia. Nell’impegno quotidiano, che san Carlo chiamava “lavorerio”.
Il papa lo sa come bavarese, e come cattolico. È lombarda la borghesia, prima che protestante, molto prima, con la Riforma del secolo Mille. E meglio che protestante poi, con i Borromeo, san Carlo soprattutto: Max Weber va arricchito col superiore borromeismo. Come Sombart e Gotheim, Weber pone la religione tra le cause del capitalismo, un punto di contatto trovandogli col protestantesimo, la razionalità. Ma questo è il principio della fine, del capitale e della religione. Max Weber lo sapeva, che la scristianizzazione angustiava, il disincanto del mondo – e meglio avrebbe fatto a guardare al Sud ricco della Germania, la Baviera, il Baden, il più ricco d’Europa e cattolico, dove c’è molto Borromeo, collegi, suore, conventi.
Si accumula con più sostanza e continuità nella diocesi borromeiana, che san Carlo controllava in ogni punto, giorno per giorno. E dove una fortuna che deperisce è un incidente della storia e non la fine, la tessitura procede laboriosa. L’imprenditore non è il ragno della razionalità, non ce n’è uno: il capitale è rabelaisiano. Ma è poco danno per le arti e le scienze: si accumula abbastanza per sprecare.
Carisma – Se ne fa teorico Max Weber. Il quale invece piuttosto ha elaborato la “routinizzazione del carisma”. A opera dei capipopolo opportunisti – quello che si chiama populismo - e penne argute. Il reality cui si riduce la stessa politica, la massima professione intellettuale, è come se volesse farne un profeta.
Egemonia – Gramsci la intende in senso politico. Edward Said ne ha diffuso la formula mutandone la nozione: la intende in senso culturale. Questa, l’egemonia culturale prima che politica, e più pervasiva, più resistente, è delineata invece da Stuart Hall nel dopoguerra, cinquant’anni fa, con la sua “New Left Review”, e poi ricostituita nei “subaltern studies” da Gayatri Spivak. Oggi data per sorpassata, per la globalizzazione e per le sue tante eccezioni, resta invece attendibilissima nella faglia Nord\Sud, in Italia col leghismo e il lombardismo, e in Europa.
Francofonia – È la comunità di lingua, delle ex colonie con la madrepatria. Ed è supposta unire. In Francia invece divide: la lingua comune veicola differenze e divergenze piuttosto che unitarietà.
Soprattutto al Sud, dove gli immigrati vengono dal Mediterraneo francofono meridionale, dal Libano al Marocco.
A Figueras, al di là della frontiera, gli stessi immigrati sono solo “stranieri”, e come tale rispettati. A Perpignan la francofonia li divide aspramente dalla comunità nazionale, che in massa vota Le Pen.
Internet – Sembra un’altra epoca il blackberry con cui Obama vinse le primarie. Appena quattro anni fa, ma era prima dello smartphone, di Facebook, di twitter.
Cos’è cambiato? Niente. Gli stessi personaggi a volte, con gli stessi sempre - vecchi non si può dire, non è politicamente corretto – argomenti: comizianti (comici?).
Islam – Se ne legge il radicalismo in Occidente come un vasto movimento culturale, di riappropriazione della tradizione, e quindi di liberazione. Dal neo capitalismo, dall’imperialismo, dal laicismo. Mentre è fonte di gravi lutti: disarticolazione delle società (settarismo), isolamento, violenza istituzionale, inaridimento culturale. Dappertutto dove ha preso il sopravvento: il Pakistan di Zia-ul-Haq per primo (progetto imperialistico, in funzione antisovietica: ne discende direttamente il terrorismo di Al Qaeda), Iran, Afghanistan, e a fasi alterne, sottotraccia, in Libano, ora in Iraq dopo la liberazione, e ovunque nel Nord Africa – che trent’anni fa aveva già raggiunto lo statuto di associato all’Europa, che è il suo destino, nel dialogo euro-arabo poi seppellito.
Il radicalismo ha fermato l’espansione dell’islam in Africa in atto dai primi anni Settanta. A opera delle autorità ma anche per la diffidenza popolare. L’Africa è – era – l’unica area di espansione dell’islam.
Nella Turchia, un paese che vent’anni fa era al bivio se diventare un altro Iran, l’ombra radicale ha avuto l’effetto di sanzionare il laicismo nelle coscienze, dopo che per quasi ottant’anni era stato imposto militarmente. A lungo la Turchia “europea” è rimasta confinata a Istanbul, già a Smirne e Bursa, nella Turchia ancora “greca”, l’aria era asiatica, e islamica di rigetto. Ora non più.
Italia – Col tempo che ci mettono quattro o cinque signore romane a salire sull’autobus si riempie a Tokyo un vagone della metropolitana, si chiudono le porte e il treno è già partito, dopo una pausa di un millisecondo, il tempo per l’occhio elettronico di controllare che le portiere sono chiuse. Per un diverso senso della città e del tempo, proprio e degli altri. Con l’effetto di moltiplicare il tempo, utile o di riposo.
Si vuole il ritmo blando un miglior uso del tempo. In realtà è un tempo non tempo: i romani sono sempre affannati.
L’uso del tempo ne richiede una riserva – oltre che un’arte specifica.
Longobardia - Fu costituita a tema bizantino d’Italia da Niceforo Foca dopo l’886, insieme col tema di Calabria, e successivamente a catepanato, con alle dipendenze lo stratega di Calabria. Tra la Puglia, la Basilicata, le propaggini calabresi del Pollino e il basso salernitano sul Tirreno. Uno dei tanti buchi di cui è piena la storia dell’Italia unita. Carlo Vulpio fa la scoperta su “La Lettura” degli affreschi bizantini nella chiesa di Santa Maria foris portas di Castelseprio (Varese), che è una riscoperta. La “scoperta” vera e proprio risale al 1944, a un avvocato, Gian Piero Bognetti. “Un enigma”, dice Vulpio, della riscoperta.
Riforma – La prima e la più radicale, religiosa e sociale, fu papale, e infine lombarda, nel primo secolo dopo il Mille che si vorrebbe oscurare. Questo qualsiasi storico, anche mediocre, lo sa: chi non ha sentito parlare dei Catari, dei Patari, di Arnaldo da Brescia, e di papa Gregorio? Si fece nei primi secoli del millennio, a opera della chiesa di Roma, contro i nicolaiti, i simoniaci, i nepotisti. E si fece a opera delle nuove classi, i monetieri, i mercanti, gli operai, allora prevalentemente della tessitura. Sopratutto a Milano: imposta da Roma sulla Milano imperiale, ma richiesta e combattuta dai milanesi poveri e puri della Pataria.
La guerra a Roma s’è fatta rivoluzionando i riformati. Nulla di sleale, è il proprio delle sette. Ma se ne deriva la beatificazione dei riformati, magagne incluse. Non è colpa di Max Weber, lui sa di che parla. La cosa viene dall’’89, la rivoluzione borghese, sempre a rischio perché antireligiosa. Isolata dalle rivolte anteriori, talora antichiesastiche ma religiose, Marx lo spiega, e Quinet. Anche se la leggenda nera antispagnola antigesuita, delle logge, i lumi e l’assolutismo, di Marnix, Bismarck, Giuseppe II e il liceo zarista a Pietroburgo, fece testo tra gli stessi credenti. La Riforma fu poi derubricata a religione laica, mentre non apporta salvezza, neanche agli affari.
astolfo@antiit.eu
sabato 9 giugno 2012
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