Il culto del capo: Monti ubiquo, come Figaro, e giorno per giorno definitivo, come Stalin (Andropov?).
Il programma d’incentivi inesistenti, 80 miliardi, che la stampa devota mette in prima e commenta per buono – come le città Potiomkin (di cartapesta) del buon tempo antico.
Gli esodati come i kulaki, mai una riga per loro, o una storia di vita vissuta: non esistono.
L’avvocatessa ministro Severino che introduce il delitto di traffico d’influenza, facendolo passare per libertà di espressione.
La disoccupazione che “non esiste”.
L’impossibile Napolitano, che ogni giorno parla ma sembra Cernenko.
Il settennato: un presidente dura, al più, quattro anni, poi sbarroccia, perduto nei corridoi dell’immenso Quirinale, ma bisogna tenerselo imbalsamato.
Alcuni eccessi non sarebbero tollerati in un sovietismo vero:
Il “Corriere della sera-Roma” che tifa per i macchinisti della metro B, superpagati, i quali scioperano individualmente, quando gli viene comodo
Ichino che non fa autocritica e anzi insite: la riforma Dini delle pensioni nel 1995 fu la riforma. Mentre sa che non risolse nulla. Ed evita di citare le manifestazioni “di massa”, da lui patrocinate e organizzate dalla Cgil (diecine di treni speciali, migliaia di pullmann), contro lo “scalone” di Maroni dieci anni fa. Per non dire del golpe di Scalfaro nel 1994, che licenziò il governo e chiuse la legislatura pur di non fare la riforma delle pensioni che Fornero ha fatto a novembre.
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