Roberta de Monticelli scrive al “Corriere della sera” una lettera non si sa se ingenua o raccapricciante (opportunista). Dopo un ambiguo messaggio a don Verzé, il fondatore dell’università che finalmente ha riconosciuto le capacità della filosofa: “Ho letto un impietoso racconto del suo testamento” - impietoso il racconto, il testamento? e impietoso cattivo oppure onesto, realista?
A don Verzé, al cui funerale non ha partecipato, De Monticelli riconosce un “despotismo illuminato”. E già qui non si capisce: come pensa la filosofa che si facciano gli investimenti? S’inventi un ospedale, una università? E perché diffida del vecchio padrone dell’ospedale-università e non del nuovo? Non per opportunismo, si spera. È infatti preoccupata: “L’università era uscita a testa alta di ogni inchiesta giudiziaria. Ma oggi accuse infamanti pendono sul suo capo”. Volte cioè a liquidarla, il nuovo padrone non è il vecchio, e non vuole filosofi, nemmeno donne. Questo la filosofa non lo capisce o non vuole dirlo?
Per un’allieva di Jeanne Hersch le cose del mondo dovrebbero essere bene in vista, come per tutti. La giustizia e gli affari prima di tutto, e il mondo degli affari senza scrupoli che è Milano, attorno alla Curia, a cui don Verzé portava ombra. De Monticelli invece si chiude in una prosa alata, tra angeli e concerti, e dice per non dire. Quasi che volesse dare ragione a cui la Filosofia di don Verzé la vuole meglio chiusa. Una filosofia sacrificale?
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