Da tempo non si vuole più termometro dell’opinione pubblica, sensibile, avvertito, equilibrato, ma non è neppure una saponetta, come si voleva. Perché, che prodotto è quello che scoraggia il consumatore, con protervia anche? Chi fosse disposto ancora a leggere il giornale non vi trova infatti che questo messaggio.
Lo trova sotto forma sarcastica, di presa in giro. Viene imbottito di venti o trenta pagine di nulla: la legge che non c’è, una peste stagionale, suina, ovina, bovina, aviaria, presto ittica, la siccità, o l’umidità, e l’ozono, con un po’ di cosce, meglio se politicamente imputabili – il buon giornale non ama le donne. E per sapere cosa succede non sa dove rigirarsi. Il lavoro che non c’è, per esempio. L’acutezza della crisi. Le troppe tasse. Le pensioni che non ci saranno per i giovani, nemmeno dopo la famosa riforma. Jens Weidmann, chi è costui? E Ingroia, che personaggio! O gli esodati di cui tanto si parla, chi sono, come vivono? Per non dire di Angela Merkel, la Germania è tutta terra incognita. O delle guerre che stiamo combattendo – ma questo fa parte del sistema “Star Trek”, siamo da tempo una remota provincia dell’impero.
Il modello è il giornalaccio a un soldo anglo-americano. Ma neanche quello. In una foliazione pure abbondante nemmeno il lettore superficiale troverà ciò che lo interessa. Coma fa uno operato di cuore, come Cassano, a correre e saltare? Come funziona questa storia della benzina a un euro, sarà vera? E com’è che la Chrysler, che per dieci anni minacciò di far fallire la Mercedes, un colosso, fa invece la fortuna della Fiat? O Marchionne, ora che fa caldo, come fa col pullover?
Si può anche fare a meno del giornale, si capiscono quel paio di milioni di lettori che da un paio d’anni non lo comprano più: se questa è la strategia degli editori non si può obiettare, sono soldi loro. Ma neanche questo è argomento di informazione - due milioni di acquirenti perduti su sei! Creano angoscia quei giornalisti che a centinaia, a migliaia, volentieri collaborano alla fine del giornalismo.
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