Altro giro, questa volta alla Rai che è il vero Parlamento dell’Italia (determina il linguaggio, e quindi le coscienze), altri banchieri, altri tecnici di fiducia del tecnico Monti. Che non si è ricordato in nessun momento che si sono spese legislature per recidere i legami tra la Rai e l’esecutivo, riportando i poteri d’indirizzo, e di nomina, in Parlamento. E, benché grande privatizzatore, che la Rai va privatizzata. Ai sensi di un ben preciso referendum di diciassette anni fa. Il cui esito si poteva così commentare, l’11 giugno 1995:
“Sì dunque alla privatizzazione della Rai, col 55 per cento, no ai tre referendum contro le televisioni di Berlusconi, col 58 per cento. I referendum che così spesso danno esiti a sorpresa la dicono lunga sullo stato dell’opinione pubblica, dei giornali cioè e dei politici promotori. Che la Rai, la televisione più amata dagli italiani, sia impopolare, è certamente una sorpresa. Ma tra le cose che l’opinione pubblica non registra, e che fanno la sua forza, benché prevaricatrice, è che i referendum non incidono sui poteri reali.
“Del tutto ineseguito, è facile scommessa, sarà quello sul Raiume, la dittatura del paese. Di linguaggio e di corruttela. Laboratorio e cassaforte del sottogoverno. Tutto è raccomandazione alla Rai, e viene diviso percentualmente tra gli spicchi del potere, assunzioni, promozioni, chiacchiere, gli appalti – di sceneggiati, film, soap, procurement degli ospiti, canzoni mandate in onda: tutto è spartito, chi non entra nella combinazione, cantante, musicista, attore, regista, produttore, presentatore non ha titolo al business. Analogamente per l’informazione: tutta a spicchi. Ma con preferenza per l’intramontabile Centro, cioè la ex Dc, ora raccolta nel’emittente tutta attorno a Casini, il leader politico con più raccomandati nella dirigenza Rai e negli uffici politici dei tg”.
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