giovedì 21 giugno 2012

La stagione aspra di Carlo era piena

La prima riga accula l’Italia “al maggio 1978”, a quando fu ucciso Moro cioè – i due autori non erano nati. “Quando l’arma esplode”, sia pure l’arma la temibile – perché? - pistola tedesca Walther PKK, è un’imprecisione e un’esagerazione. Ci scappa pure il “sedicente” gruppo terroristico. C’è molta inverosimiglianza in questo racconto. Per una discreta voglia, forse, di “riaprire il discorso” sul ’77, sul terrorismo. Anche se la vicenda narrata, quella di Carlo Rivolta, è per ogni aspetto una testimonianza, se non fu un sacrificio, in senso contrario. In fine si può anche ridere: “Queste pagine sono state scritte durante un’altra guerra fredda, dando del Tu alla Catastrofe”, sono le ultime righe, “mentre il corvo Joe faceva ancora paura e gli Spietati salivano sui treni”. E si tratta di Berlusconi – che è l’editore del libro. Forse è solo questione di epoca, il Millennio è della confusione: le guerre non mancano, vere, coi morti, la disoccupazione, la povertà, anche la fine dei giornali, perché no, ma niente, siamo solo nostalgici – i giovani, non i vecchi.
Nel 1977 Carlo Rivolta aveva 28 anni, e una vita alle spalle. Cinque anni dopo morirà in crisi di astinenza, dopo essersi segnalato nelle cronache dell’Autonomia, il movimento di lotta prevalentemente romano, su “Repubblica”. La dipendenza avendo acquisita per supponenza, come tanti in quegli anni, per i quali la droga, erba o eroina che fosse, era una “esperienza”. Per un’acuta assenza, anche, della figura paterna, essendosi i genitori separati poco dopo la sua nascita. Malgrado l’amore forte della madre Isabella, che ne ha custodito ogni memoria, e l’affetto di compagne di forte personalità, Emanuela Forti prima, la nipote di Nello Rosselli, poi Francesca Comencini.
La ricerca di De Lorenzis e Favale è accurata, molti archivi si vedono consultati, molte testimonianze sono state acquisite, è durata quattro anni, ha avuto lo stimolo di Isabella “Lilli” Chidichimo, la madre che non ha mai trascurato il figlio, non in morte, la narrazione è stimolante. E tuttavia si legge come un’occasione mancata. Il canone è dell’agiografia, il mondo visto attraverso gli occhi di Carlo Rivolta, che non è possibile – né Carlo ne aveva l’ambizione. Il libro era un desiderio di Lilli, gli autori lo sceneggiano in modo da farsi leggere, ma non di più.
C’è sempre qualcosa d’insoddisfacente nel ricordo altrui di qualcuno che si è conosciuto. Carlo, per esempio, era sempre in guardia, e selettivo: coltivava se stesso, molto, nella diversità che opponeva a ognuno, la sua lettura era speciale, la scarpetta, la camicia. La stessa Lilli, viene di dire, sarebbe stata più personaggio, che alla morte di Carlo si ritirò nelle campagne di famiglia, a creare dalla desolazione un’azienda agricola modello e un agriturismo che è oggi quanto di più trendy, tutto ecocompatibile, di legno e pietra, e molte piante e fiori, etniche e allogene. Di un puntiglio e una creatività inimmaginabili. O Scalfari, qui confinato al ruolo di Fondatore, una sorta di Zeus olimpico, che suona periodicamente le sue campane a morto sulla Repubblica, come fa ormai dal 1955, da quasi cinquant’anni, mentre è vivo e attivo, il più grande giornalista che ci sia, informato, di forte giudizio, di grande presa, avveduto, ingegnoso e costante imprenditore, uno che non si scoraggia, direttore anche paterno, con Carlo Rivolta come con ogni altro, e insieme lontano o indifferente. Manca la Calabria, per esempio, se non come sfondo di vacanze. O il mondo dei calabresi, compresi Isabella e il fratello Rinaldo, futuro direttore generale della Confagricoltura, forse più di lei impegnato nella modernizzazione (www.unfaroperilfuturo.it), sbarcati a Roma con Giacomo Mancini nella stagione del centrosinistra – di cui non c’è cenno (Mancini introdurrà Carlo ventenne all’“Avanti!”, poi alla sua segreteria politica e a “Paese Sera”, e dopo morto ne pubblicherà un’antologia nelle sue Edizioni Lerici, con Enzo Forcella, Luigi Manconi e Paolo Mieli). Vivono ai Parioli, con gli agi e le abitudini della borghesia da cui provengono, grandi proprietari di terre nell’alto cosentino tra Sibari e Rocca Imperiale. Carlo ha le stesse abitudini, seppure in aspetto da fricchettone: viaggia in Guzzi 850 California, fa viaggi esotici, non si fa mancare nulla.
Insoddisfacente è, forse, inevitabilmente la ricostruzione di un’epoca che si è vissuta. Peter Tosh in tour nell’estate del 1980 non aveva nulla di diabolico, è capitato di ascoltarlo in concerti “per famiglie”, il suo reggae era musica ballabile. Mentre forse da fare non era il “Dr.Bush” ma la Bologna dello sfondo al suo concerto, quella vera, drammatica rispetto all’oleografia che il Pci vendeva alla stampa estera quale esempio di buongoverno: balorda, violenta, bisognosa di droga. La stagione era, bene o male, altrimenti “aspra” che la unidimensionalità politica che sembra avere occupato ogni spazio dopo la caduta. Al confronto con l’oggi succosissima e perfino eroica - senza bisogno di oltraggiare le parole.
Tommaso De Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Einaudi, pp. 263 € 18

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