L’assalto a Napolitano rimette a nudo il vero senso della lotta feroce alla politica che la grande stampa e i suoi giudici conducono. In altre fattispecie è possibile rilevare, comunque impossibile contestare, ipotesi di reato: corruzione o concussione nella sanità e gli appalti, collusioni con le mafie, traffico di voti e raccomandazioni. Anche se sostenute quasi sempre da soggetti giuridicamente infami: concorrenti falliti, killer di mafia, intercettazioni manipolate. Nel caso di Napolitano (come nel caso di Berlusconi, eh sì!) l’ipotesi delittuosa si configura altrimenti: sono all’opera frammenti di un unico, benché vecchio e sbriciolato, disegno, dei monconi ex Dc.
Gli ex Dc non si rassegnano. F orti dello stesso armamentario terrificante che affossò la stessa Dc insieme con la Repubblica. Compreso Ingroia, che fu il contestatore (e immobilizzatore) della Procura di Palermo quando essa fu governata da magistrati di provenienza Pci, Grasso come prima Caselli, e già con Caponnetto. Sostenuto da Lo Forte e Schiacchiano, che già tormentavano il povero Chinnici, e poi felicemente hanno coronato la loro carriera.
La geografia di Milano, della Procura di Milano, è analoga. Anche se ha avuto un forte presenza di ex Pci, fino all’espunzione di Colombo e D’Ambrosio.
Il tiro contro Napolitano mette a nudo un’altra debolezza: la subalternità del Pci. A un cursus nefas di cui si vuole volenteroso esecutore, ma che non controlla. E che ne limita il campo di manovra politica. Per esempio verso la galassia berlusconiana – di imprenditori, socialisti, garantisti, modernizzatori. Un partito politico, e un partito di sinistra, ha solo da perdere dal cosiddetto qualunquismo, dal costante, aggressivo, assedio alla stessa politica.
I punti di raccolta e condizionamento dell’opinione sono rivelatori. Sono i giornali di De Benedetti, che si vuole il “primo Democratico” ma di fede bianca. E la Rai, da sempre feudo (ex) Dc, non scalfito dai martelliani prima né poi dai veltroniani.
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