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Classici - Devono molto ai barbari, che hanno distrutto le biblioteche. In questa selezione, del tutto accidentale, è bastato sopravvivere almeno in una copia per farsi classico.
Confessione – Quanto a conoscersi, è bizzarro interrogare se stessi, accusati e insieme accusatori. Non lo fece Socrate, che era un teatrante e un ciarlatano e inventò il genere, o il personaggio di comodo di Platone che a Carmide spiega: “La conoscenza di sé non sempre è saggia, non sempre è utile” - la saggezza di Socrate era d’infinocchiarsi Carmide, “una meraviglia tanto era grande e bello”, per ciò che si vedeva e per “ciò che la sua tunica copriva”, lui come ogni altro giovane e bello di Atene filosofante in palestra.
Il difetto è che la confessione si fa in prima persona. Uno vorrebbe sbarazzarsi dell’io, ma non si può, tutto si vede e si dice in soggettiva, la terza persona è artificio. Onesto sarebbe che l’autore dichiarasse all’inizio: “Vi racconto una storia che ho inventato, ho dedotto, ho ascoltato in quel posto, in quel tempo, tra quelle persone”. Come i reduci che impuni s’inventano in dettaglio le guerre, i cacciatori, che sono essi pure soprattutto narratori, gli emigranti, i viaggiatori. Tutti quelli che non hanno testimoni.
La scuola dello sguardo è solo una soggettiva più lenta e minuziosa. Omero dà forma ai miti, che è un altro genere, ma si pretende realista come il romanzo, essendo veritiero. Bisognerebbe poter essere Omero, ecco, capaci di mito e verità, uscendo dall’io e dal lui. Talvolta basta essere nato in un altro secolo. Il problema in italiano è che si coltivano io deboli, cattolici – ecco, qui la chiesa c’entra: si racconta bene in America Latina, dove pure sono cattolici, ma in segreto succhiano sangue.
Sant’Agostino riprende la tradizione, nel suo romanzo di formazione e vocazione, che vede sempre santi nelle confessioni. Comprese quelle del blasfemo Sade, che non cessa d’interrogarsi su Dio. Le carmelitane si racconta che si puniscono tuttora con le canne, a luci spente, le tende nere tirate, le vesti alla vita, o con fruste di corde intrecciate, dopo avere confessato in pubblico le cattive azioni e i pensieri impuri. Delirio da confessione, gli strizzacervelli ci convivono agiati. Solo Casanova fa eccezione, che scriveva per sé, non per farsi l’esame di coscienza ma per esibirsi. Pascal, che riprova Montaigne, “lo sciocco progetto che Montaigne ha di dipingersi”, e Casanova, che si confessa per “godere una seconda volta”, lasciano intravedere la verità: confessarsi è compiaciuto onanismo, si vedano le dilettazioni dei peccatori pentiti. I preti l’hanno sempre saputo, che tengono lontane le zitelle beghine e le puttane in età. Piuttosto che essere veritieri ci si calunnia, talmente la realtà è odiosa, a volte.
Dante islamico 3 - Altri dantisti, la maggior parte, non concordano con Maria Corti. Per tutti Nino Borsellino, “Ritratto di Dante” che non ne dà nemmeno conto – pur citando la filologa tra i dantisti del secondo Novecento: “Dante leggeva l’«Etica» aristotelica nella versione latina di Guglielmo di Morbeke e teneva conto dei commenti di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino”. Con “l’aristotelismo mediato dagli arabi Avicenna e Averroé” semmai si confrontava – Avicenna non è arabo, ma il fatto è netto.
Come si può dire del resto aristotelica la mistica islamica? Forse quando dell’islam si erano perse le tracce, non molto tempo fa, il primo shock petrolifero è del 1973 e la ripresa degli studi è stata necessariamente lenta: nonché l’islam anche l’arabo era stato dimenticato. Non c’è nulla di Aristotele nell’islam, remoto e recente, in nessuna manifestazione, letteraria, giuridica, politica. In nessun temo, in nessun luogo, non in Asia né in Africa, meno che meno nel Vicino Oriente, Aristotele ha avuto un sia pur minimo rilievo, giuridico, politico,o anche solo letterario o storico. Non c’è nulla di filosofico nell’islam moderno e contemporaneo, che fino a metà Ottocento proibiva la stampa – il regno di Granada è remoto come l’Atlantide, e come quella influente.
Ironia - Viene da Gesù, secondo Harold Bloom, “Gesù e Yahvé”, p. 19: “Amleto, Kierkegaard e Kafka sono ironisti che si muovono sulle orme di Gesù”. Per fortuna non lo sapevano, non gli avrebbe fatto piacere.
Piacere – È tema di Manzoni – e di nessun altro scrittore. Con evidente scrupolo morale (dell’appena licenziata “Morale cattolica”) ma capace di allargarne la sfera alla fantasia, sotto le specie del sentimento. Compresa la forma adottata per il saggio, una lettera del 1851 all’abate Rosmini, al quale aveva chiesto aiuto per l’elaborazione di un trattatello sull’unità delle idee, o sulla relazione del reale con l’ideale, dopo quello “Dell’Invenzione”, e al quale invece rifila un dialogo filosofico di tutt’altro genere. Spinto dal bisogno, spiega Rodolfo Quadrelli, che ne ha curato gli “Scritti filosofici” per la Bur, di confutare il sensista Verri.
Pietro Verri faceva del piacere una sensazione, la cessazione rapida di un dolore. Manzoni sostituisce a sensazione “la parola sentimento….un principio attivo a un principio passivo”. Un concetto molto più estensivo del piacere – e un sovvertimento, l’ennesimo, del concetto di laico (Verri) rispetto a quello di credente (Manzoni), nel piacere come in affari, e più in generale nell’etica, o nella libertà.
Plot – Le tramine dei film sono sempre deludenti: banali, sballate, inverosimili, sempre ininteressanti. Il film è sempre un’altra cosa. Il plot delle storie scritte, invece, sempre più richiama le tramine dei film. Dalle quali poi non riesce a districarsi.
Proust - È - potrebbe esserlo, in molte sfaccettature - il Marcel di Colette, “Claudine a Parigi” e “La retraite sentimentale”. Personaggio molto targato, fin-de-siècle.
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