Il successo degli anni 1960 che non si ristampa è una celebrazione del neo realismo – la disgrazia. Eco tarda, in pieno boom. In chiave sempre piccolo borghese, alla Pratolini, alla fotoromanzo, dei sogni infranti di fronte alla ricchezza, o al (piccolo) potere, a Parma invece che a Firenze. Con parole in libertà: “Le slandre sono i fiori più belli di quella gioventù sconsolata e c’è un’amara fierezza nel vederle sparire nella luce di una vita sconosciuta, rinata dalla morte dei loro sentimenti veri, del loro orgoglio, perché quel mondo di benessere proibito verso il quale esse vanno dovrà ammirarla – prima di corromperla e di distruggerla – la loro bellezza altera e selvaggia, che si trascina la bellezza di tutto un popolo umiliato, ma gagliardo di vita vera, sana, splendida” – che oggi non sarebbero possibili, i giudici ne chiederebbero conto (le olgettine o escort a Parma si chiamavano slandre). E con un paio di anticipazioni. È proto-compromissorio: ci sono padroni e padroni (quello tutto cattivo è meridionale). A pietra d’inciampo del racconto pone il “sangue de vinti” (il partigiano che “ha ammazzato degli innocenti”), trent’anni prima che diventasse tema di storia. Per il resto senza limiti all’oltraggio: il deus ex machina della vicenda, una “slandra” imbruttita, ha una serie di figli che s’è divertita a fare con i padroni della città, l’onorevole, il questore, l’imprenditore potente e altri, nella stanza squallida dove esercita, sopra l’osteria.
Alberto Bevilacqua, La Califfa
sabato 9 giugno 2012
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