martedì 26 giugno 2012

Una famiglia

È estate, è l’una del pomeriggio, fa caldo, specie nell’angusta rosticceria di Rosolino Pilo, coi forni accesi. Due ragazzi in un angolo, con una lattina in due, si indicano l’avventore solo che ingurgita supplì. In giacca e cravatta. È un sabato, i romani sono al mare. È l’estate del 1968, dunque Giuseppe, che ora è morto di 69 anni, ne aveva 25. Ridono con la complicità dei fratelli, non è uno sfottò da adolescenti – Bernardo, il maggiore, che ha già due ottimi film all’attivo, è un coetaneo.
Bernardo ha lavorato anche lui con l’Ente, lo stesso che richiede questo sacrifico al week-end, il lavoro intellettuale si fa anche di sabato, sempre in giacca e cravatta, a “La via del petrolio”, dopo il famoso porco dei suoi sedici anni, partendo dal Golfo Persico e i monti Zagros fino alla raffineria a Ingolstadt. Dove ora Fassbinder vorrebbe ambientare “Pioniere in Ingolstadt”, un dramma del 1927, insidioso, benché ipotetico, il genera exempla: tratta l’effetto di un battaglione in città, tra le ragazze che civettano e restano incinte, non si sa di chi. Di autrice amata in Baviera, Marieluise Flaisseri, “il più bel seno della Mitteleuropa”, di cui Brecht beneficiò introducendola a Berlino. A Ingolstadt, che è oggi città petrolchimica, Stendhal dormì vestito, fra tre-quattromila feriti, rimuginando di farsi la locandiera, benché attempata, “niente di speciale”, con la morte gli tirava, ma non ne ebbe il tempo – lui non ha mai il tempo, solo di fantasticare. Ma del petrolio non si dice per il sospetto di favoritismo, essendo il padre Attilio il committente per conto dell’Ente. O perché il petrolio puzza. Non ha visto del resto Bernardo nel Golfo l’enfasi nella semplicità, i gesti lenti, l’eloquio piano, la storia trimillenaria, né negli altri posti che ha attraversato, forse per andare veloce.

Ubaldo, giornalista che “Il Giorno” delega a seguire l’Ente, ne è familiare per ragioni tribali, e anzi un po’ famulo, non è sicuro di esserne ricambiato, i patti agrari erano gonfi di doveri reciproci, la civiltà borghese invece dissecca. Ne parla con malcelata distrazione. Anche lui ha partecipato al film dello scannamento del porco Ne parla ma non volentieri. Di Attilio ha rispetto, come padre, sarà stato lui a introdurlo al “Giorno”, benché il giornale sia pieno di parmigiani. È del resto per Stalin contro gli americani che impongono le bombe, la droga, la mafia, e lo vorrebbe risuscitato in piazza San Pietro, a insegnare la religione, insieme col papa, alla gioventù loffia del movimento.
Ubaldo, la Quarantottesima, è stato veramente in montagna. Ma non ne ha ricordi. Non grati. Da raccontare ha solo il maggiore Stevens, che appariva la notte teatrale nel mantello, dopo i lanci, per dividere le armi, le radio e i soldi, e la voglia d’amare delle donne:
- Più di tutto le eccita il pericolo che l’uomo corre – dice con l’occhio lucido. Vive a Roma del resto solo, la moglie sola a casa.

Anche il signor Mario, il barbiere sottocasa che si diletta di letture storiche, è guardingo:
- Né buongiorno né buonasera. – Ma non ce l’ha con i ragazzi, piuttosto con Pasolini (di Attilio non sa nulla, si conoscono solo le facce da cinema): - Veniva a bottega. Ma poteva aspettare un’ora, non una parola. Sembrava che non guardasse nemmeno.
Ubaldo anche fisicamente è diverso dai suoi patroni: piccolo, minuto, baffuto. E non ha gli studi, così dice, forse per malinteso hemingwaysmo. Scrittore, pure lui, ma di cose vissute. Il naso a patata, le gote sanguigne. Terragno, gallo celta. Senza il mito di Maria Luigia, la quale dev’essere a Parma un contrassegno.

È venuto Attilio, collaboratore dell’Ente alle origini, di cui cu-rava l’apprezzata rivista aziendale, per preparare un viaggio in Iran. Nel paese profondo, dice, non le solite Teheran, Isfahan, Shiraz, ne ha ansioso bisogno. È giusto, buona idea, un paese antico va vissuto nella sua polvere, la pietra, gli alberi invecchiati, la gente millenaria nelle pieghe della terra. Vuole andarci in macchina, via Turchia, facendo tutti i passi:
- In Anatolia risalire l’Eufrate fino alle sorgenti. – Anche questa è un’ottima idea, perché no. Fino a Erzerum sotto l’Ararat, e al lago Van, sul crinale proseguire, Bazargan, Tabriz, fino a Mashad, al deserto con l’Afghanistan. Lo fanno i giovani in autobus da Vienna: - Per trenta dollari. – Lui lo sa, l’occhio gli brilla. Lo facevano le virago degli anni Trenta intrepide, per fumare forte e farsi, se mai la voglia le penetrava, una carezza. Ma il poeta non fuma, ha solo voglia di cieli trasparenti: - Si può fare una deviazione a Jerevan, – ha un altro lampo, chino sulla cartina, - conosco l’addetto culturale sovietico. – Pure lui. Samochvalov è il nome, e a lui è grato: - Grande pittore, quando il comunismo aveva un Majakovskij. - Parla monocorde, basso, mangiandosi le parole, guardando nel vuoto, ma è sempre come lo dice Fortini: “Bertolucci divaga e il suo zirlo\ è quello gentile del grillo”, nel corpo massiccio.
È solo e si vede, benché si fatichi a capirlo, d’un uomo che è stato in mezzo alla migliore cultura degli ultimi venti o trent’anni, ne è stato in tanti modi anzi il demiurgo, acuto, generoso, Gadda, D’Arzo, Bassani, Pasolini, i figli. E affettuoso, si legge nelle poesie, la sua famiglia include e non esclude. Si rimedia allo sconcerto parlando molto. Di Pasolini che prese casa sotto di lui, nome che però lo sorprende, ne riflette parlando:
- Il destino a volte è personale. Dramma o commedia che sia – pausa. – L’impegno può corrompere. Eliot fu impegnato, e non l’apprezziamo. Pound. - Che Cristina Campo vide a Roma nel 1967 “dopo un folle sciopero della fame per divergenze familiari a Brünnenburg, presso un incredibile Colonnello, ex massone, ex fascista, ex spia nel Medio Oriente, ora igienista e letteratoide, calato di 20 chili e del tutto disidratato: è una larva stupenda dagli occhi di diamante”. I poeti si consumano.
Solo il viaggio lo riscuote. E allora non c’è problema, quando vorrà partire avrà tutti i mezzi a disposizione. Pure in Turchia, l’Ente non vi è presente ma qualcuno che l’attraversa si trova sempre. Con partenza da Atene, sicuro: in aereo fino a Atene, poi col fuoristrada. Potrebbe scriverne per la rivista aziendale? Senz’altro: la rivista non si fa più da quando lui l’ha lasciata, non c’è più genio, ma va risuscitata, è l’occasione per farlo. Conviene però rimandare, a dopo l’inverno. Il motivo è ragionevole e se ne va fiducioso, benché all’erta. La moglie ha telefonato prima per concordare. E ha assistito al colloquio, senza interloquire. Sarà la durezza di essere solo in famiglia. Si è veduto un paio di stagioni solo per le strade del quartiere, incupito sotto il cappello largo, per la passeggiata nervosa che qualche strizzacervelli gli avrà imposto, o alla Posta, dove grugnisce e guarda indispettito. Solo con quelli che hai amorosamente curato e che pure ti somigliano, ma per i quali non esisti, sarà il destino di tutti i padri. Per i quali è più interessante evidentemente un qualsiasi altro poeta, anche un narratore vacuo, meglio un qualsiasi altro consulente editoriale, o produttore senza soldi, per passarci il tempo e confidarsi. Si dice dei padri che si realizzano nei figli, ma chissà. C’è in Spinoza, l’amor Dei che non si ricambia: non c’è scambio per l’amorosa misura, ancorché saggia, produttiva. Un destriero sembra di tempi remoti, che alla fine di una impetuosa cavalcata si trovasse in nessun posto, massiccio e curvo.

Giuseppe sarà stato l’onesto regista, volenteroso. Bernardo è il genio. Delle grandi masse alla Cecil B.De Mille. E della coppia, al modo di Moravia, che il padre non ama e forse non apprezza. È così che ha portato la rivoluzione al Lincoln Center, al party della United Artists, produttrice di “Novecento”, intonando l’Internazionale. Dopo l’impossibile coppia di “Ultimo tango”. Il fascismo sempre magnificando, anche lui, come Cavani, Wertmuller, e da ultimo Pasolini. Anche Bernardo vede monumentale il fascismo, con donne apache in stivali maschili, mentre era popolato di falsi invalidi.
Attilio lo ha seguito dappertutto, a Parigi e a ogni altra prima, trepido, orgoglioso. Che ora gira per il quartiere arcigno, irritabile, ma è stato di ironia lieve. E mesta, sul filo del sentimentale, come la rimembranza. Presto, e poi per metà abbondante della sua vita, padre sorridente e malinconico del genio, Bernardo. Ha seguito Bernardo, Giuseppe no. Che forse non ha nemmeno prime memorabili cui convitare il babbo. E di lui sa molto, versi e storie. Mentre Bernardo, richiesto da Pivot, con insistenza benevola, per movimentare il suo incontro con Attilio, francesista emerito, no. Non ricordava neppure un verso.

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