Con un’ampia nota biografica, in una collana che vuole riportare alla memoria i letterati toscani di metà Novecento (Bigongiari, Parronchi, etc.), due racconti del volume “Gli anni e gli inganni” (1965). Una delle poche opere riedite di un autore prolifico e già molto amato. Autore ferace di racconti - anche della Resistenza che non aveva praticato - dà qui forte la malinconia del fascismo: la gioventù littoria, le parate, il vuoto.
Venturi “nacque” alla letteratura con Vittorini, fu giornalista con Calvino all’“Unità”, e con lui premiato a Genova nel 1947 e poi candidato al Viareggio, grande amore di Anna Maria Ortese, che lo ricorderà in “Poveri e semplici” e “Il cappello piumato”, editore apprezzato con Feltrinelli nei primi anni di attività, per il quale diresse la Universale Economica, dopo Bianciardi. Con l’abiura del comunismo dopo l’Ungheria, era però già caduto nel “cono d’ombra”, il limbo del politicamente non corretto, allora si diceva “non in linea”. Che sembra funzionare peggio ora che non c’è il Partito, nonché il sovietismo. Malgrado le cure postume della moglie, anch’essa letterata, Camilla Salvago Raggi.
Marcello Venturi, Mio nonno e Mussolini, Via del Vento, pp. 35 € 4
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