“Io come Borsellino”, dice sfrontato il giudice Ingroia, che in vent’anni non ha trovato uno solo dei tanti attentatori allo stesso Borsellino e alla folta scorta. Giustificandosi col dire che il giudice l’ha assassinato lo Stato. Dopodiché se ne va in Guatemala. Lasciando il Capo dello Stato a professarsi innocente. Un Capo dello Stato. Uno rispettabile come Napolitano. Sull’autorità di un pentito debole, Spatuzza, e di uno falso, Ciancimino figlio.
Il giudice ridens si professa Borsellino col plauso dei fratelli Borsellino. Che, in significativa antitesi con la compostezza della vedova e dei propri figli del giudice assassinato, sulla morte del congiunto hanno impiantato senza altro merito una carriera politica. Contro Napolitano, e quindi contro il loro stesso partito. Per la ribalta, essendo stato a loro tutto facile grazie al sacrificio di Paolo.
Prima di partire Ingroia incrimina Dell’Utri, ancora una volta, il suo punching-ball, un siciliano remissivo. Seppellendolo sotto palate di fango dosate, a mezzo di cronisti fidati. Una al giorno: un giorno la notizia di reato, un giorno la villa, un giorno Santo Domingo, un giorno i conti correnti, poi ci sarà il riciclaggio, le tangenti, la droga - manca solo il pentito.
Tutto ciò è giustizia? Si dice che Palermo coi morti si diverte, ma questo non è nemmeno teatro, è solo squallore. Con un Procuratore Capo di Palermo, Messineo, che ogni giorno parla su “Repubblica”, con lettere, dichiarazioni, commenti, e interviste. Ha idea di chi ha ucciso Borsellino? Gli interessa? Ha letto “il” Messineo di cui porta il nome?
Per il resto, la mafia non c’è a Palermo? O c’è?
Nessun commento:
Posta un commento