sabato 28 luglio 2012
La pietas muore a Londra con l’esibizione
Ha avuto un curioso riflesso d’irrealtà la cerimonia per l’Olimpiade a Londra. Non d’immaginazione o d’impegno ma di morte della fantasia e della pietas. Che ha raggelato pure i tratti scherzosi, Lineker e Beckham, Mr. Bean, Kenneth Branagh, le musiche, la regina che scende dall’elicottero, scortata da James Bond. Di fronte all’esibizione del bisogno, la malattia, la disgrazia, il razzismo. Per la non spettacolarizzazione dello stesso, surrogata dalla pretesa del reale e del necessario. Un’esagerazione e quasi una denuncia, benché non voluta, del politicamente corretto, la facciata delle cose.
Un mondo rovesciato diventa non credibile – se è tutto in bisogno, ne sono eliminati la distanza e l’impegno personale. Diventa urgente solo per la forma o facciata. La sofferenza e l’emarginazione sono stati esposti a Londra fino al ludibrio di se stessi: malati, down, sordi, muti, immigrati poveri, e bambini indifesi. La speranza riposta in una ragazza caraibica e un ragazzo africano. Gli inglesi fermi alla guerra – con gli altri britannici rappresentati di malavoglia (giusto una cantante scozzese, mezza zambiana). Voleva essere un appello corale alla generosità ma l’ha schiacciata su un piano sordo.
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