martedì 17 luglio 2012

L’anarchico politicamente corretto

Stucchevole bozzettismo, di anarchici all’osteria. Con escursioni alla Tambura e alla Brugiana, le montagne delle Apuane. Di uno che pure ha scritto cose solide. Già avvinto, a quarant’anni, al reducismo – qui sono tutti del Partito, da intendere il Pci: anarchici, socialisti, Sofri. Un lungo articolo del “Manifesto”, da “contr’allineato”.
Il “contro in testa” è il carrarino. In confronto al massese, e al mondo. Il cavatore di marmi. Di una sostanza dura: il marmo uccideva, i cavatori erano anarchici. Un mondo vivo, si sa, si sente, che la correttezza qui spegne: l’uniformità è totale, formale e politica. Fino al buon ricordo di Ovidio Bompressi, ma senza l’orribile processo di cui fu vittima - a opera del Partito.
L’unico frizzo è all’esordio: “Ho odiato la mia terra come si odia una madre secca e muta, una landa sterile e infeconda, un vuoto inabitabile e senza contorni. L’ho odiata perché mi appariva come un magma informe, impasto senza lievito. L’ho odiata perché non ne trovavo l’anima. L’ho odiata perché, man mano che mi conoscevo, temevo che non sarei stato altro da lei”. Se non che tutto è falso: non c’è madre secca e muta, le Apuane non sono sterili e infeconde, il vuoto non esiste. L’incipit si rivela un (ottimo?) compito in classe, il rifiuto di sé e del mondo, che non arricchisce la memoria, anche quando si improvvisi solerte e riconoscente. Il ricordo della zia difficilmente vive in prosa.
Marco Rovelli, Il contro in testa, Laterza, pp. 144 € 12

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