letterautore
Dialetto – Lampedusa lo usa come aggravante della mediocrità, nel suo caso di un re. Così era venuto usandolo Gadda nel “Pasticciaccio”, in chiave connotativa (ironica) e non realistica. Di efficacia espressiva ma in senso diminutivo, in funzione del ridicolo, della persona, delle situazioni..
In Pasolini cambia poco: è deprecativo, in funzione plebea.
Fama – Una svista a p. 99 dell’edizione italiana di “Maxima-Minima”, il libro delle annotazioni di Ernst Jünger al suo “L’Operaio”, riporta a “vent’anni fa” la rappresentazione visiva della “macchina della fama” da parte di Villiers de l’Isle Adam - che l’autore di “Eva futura” aveva divisato nel 1883, come uno (“La macchina della gloria”) dei “Racconti crudeli”. Riportandola quindi - Junger scriveva le annotazioni nel 1962-63, trent’anni dopo l’uscita dell’“Operaio” - al momento di svolta della guerra, nel 1942-43, dal trionfo al disastro. Come se si potesse supplire al reale con le proiezioni fantastiche.
Con la “macchina” Villiers modernizzava la fama, come una sorta di pubblicità, di sfera pubblica dei sentimenti e le aspettative – quella che sarà l’opinione pubblica. Ironizzando sul “fanatismo del progresso” nelle forme della pubblicità.
Filosofia – Va al festival, ma intristita. Se ne fanno festival, come del cinema e della canzone, anche con maggiore frequenza, ma tutti sempre un po’ abbacchiati. Senza entusiasmo e quasi senza convinzione. Sia dei filosofi che del pubblico, che pure, se partecipa, deve nutrire ancora speranze. Anche se i filosofi sono vedettes, di spiritualità o humour, un Enzo bianchi o un Eco. Le esposizioni sono lente, comunque non convincenti (appassionanti), i dibattiti forzosi.
Ora, è l’economia che è “scienza” triste, della filosofia non si era mai saputo. La filosofia si vuole solo letta? Non è possibile, è stata in antico arte oratoria, e anche nell’ultima sua incarnazione classica, mago Heidegger lo era della parola. O sono i festival che fanno triste la filosofia, la curvatura della filosofia a (piccola) manifestazione politica?
Gattopardo – Uno sguardo decomposto su un mondo che non lo è, le “persone influenti” (mafiosi) comprese. Si supponeva dallo stesso romanzo, Sedara è personaggio grottesco e negativo solo per gli snob. Si sa ora per certo dalla nuova più libera storiografia, che documenta Palermo e tutta la Sicilia ben vive e attive prima, durante e dopo la spedizione dei mille e la “liberazione” dell’isola. Gli odori sono fetori, le bellezze sfiorite, le gioie tristi, i sapori disgustosi, i viventi morti, sembra l’opera di un paranoico, benché arguto. La putrefazione vi è ossessiva, ogni segno depressivo, anche scopare.
Tutto in questo romanzo favoleggiato della nobiltà è rancido, spaventosamente sporco, fetido. Eccetto i cani. E ridicolo. Eccetto il ridicolissimo Principone, se stesso cioè: don Fabrizio posa attorno, sullo stesso nipote prediletto Tancredi a ben vedere, uno sguardo deluso. E, senza alcun titolo morale, di rimprovero. Irridente come lo scemo del villaggio, nobile certo. “Per le persone del carattere e della classe di don Fabrizio la facoltà di esser divertiti costituisce i quattro quinti dell’affetto”, attesta Lampedusa serio. Ma senza obbligo di divertire.
Ci sono molti biondi nel “Gattopardo”. Se se ne facesse una statistica allo stato civile è pure possibile che i biondi siano in Sicilia più dei mori, soprattutto le donne. Per la presenza normanna, che vi fu più lunga e invadente di quella araba, le successive razze vandaliche di Spagna. Verga era di pelo rosso. E gli uomini sono più alti e robusti che piccoli, l’industria delle confezioni lo sa, anche se molti sono lombardi.
Pennellate intensive di colore. Ripetute, memorabili. Memorabili per essere costanti, e tuttavia sempre di colore: “fanno il discorso”, cioè la Sicilia, ma sono al meglio battute di spirito, repartee al cocktail party.
Compongono anche un manuale della sicilianità, successivamente obbligata, per esempio in Sciascia. Compresi il sole e il mare. Palermo è “torva”, eccetera. In quanto donchisciottesco, vero al contrario. Lampedusa sopravvissuto alla pubblicazione non sarebbe stato sorpreso di essere preso sul serio? Aveva scritto un romanzo satirico.
L’irrisione è mescolata a un sottile immedesimazione di Lampedusa col Principone: Salina è scisso, a volte “intelligente (riflessivo).
Recensione – È di vario tipo, si sa: affettuosa, astiosa, riconoscente, critica anche, o commerciale, e perfino industriale – si scrive in più redazioni in casa editrice, smazzando poi le schede in base alla tipologia del veicolo recensorio. Ultimamente è spesso di rappresentanza, o di squadra – o dell’elogio riservato. Succede nelle epoche di transizione, quando non si sa che e chi prevarrà ed è opportuno tenere le posizioni.
Succede così. Il mezzo di comunicazione (giornale, radio, tv) s’impegna a presentare un’opera per un obbligo contratto con l’editore o con l’autore. E lo fa con coscienza, chiedendo a uno dei suoi migliori autori, più giovani, più promettenti, più in carriera, e disponibili, di farsi carico del lavoro. Che pubblica in posizione lusinghiera e con un quadro di riferimento pieno di elogi – miti e eroi. Ma succinta, e riservata, sotto un titolo insignificante. La recensione di rappresentanza o riservata serve a cementare legami potenti, nella (reciproca) estraneità. Ma significando al contempo che il giornale è “di più”, e tanto più se destina alla funzione di rappresentanza le sue penne migliori – promettenti, colte, di mondo.
Ottimi esempi ne reca ieri il supplemento domenicale del “Sole 24 Ore”. Con due recensioni, di un uomo di potere che si esercita alla filosofia, e di una potente casa editrice che ha fatto scrivere a un costituzionalista un romanzo di fantasmi – se è quello che si capisce dalla recensione. Affidate a Roberta De Monticelli e a Gabriele Pedullà. Che assolvono in modo impeccabile il compito: sono talmente eleganti nella perfidia che sembrano sprecati. E lo sono, ma non nel lavoro di squadra, col giornale.
Storia - La storia è di una parte, lo spiega Huizinga. È un Gestalt. Una forma spirituale, come la letteratura, la filosofia, il diritto, la scienza, per comprendere in essa il mondo. È la forma dello spirito in cui una civiltà si rende conto del suo passato. Ogni civiltà produce la sua propria forma di storia. Che è sempre storia universale. Ma la storia non fornisce mai altro che una certa figurazione di un certo passato, un quadro comprensibile di un frammento - “frammento di frammenti” la dice Goethe, come la letteratura.
Febvre invece la vuole arte – anche questo è Occidente - e scienza, del passato e del presente. Un ramo della scienza delle comunicazioni, aggiunge Lévi-Strauss, per il quale “in ogni società la comunicazione ha luogo a tre livelli: scambio di beni e servizi, scambio di messaggi, scambio delle donne”. Non male. È sempre una signora molto esigente, trovava Giorgio Spini in polemica col professor Spadolini, che non s’è mai sposato: richiede cultura internazionale, scaltrezza di metodo, pesante fatica, anche fisica, di ricerca delle fonti. Ed è bene in carne, si spera, poiché va fatta propria.
letterautore@antiit.eu
lunedì 23 luglio 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento