L’universo carcerario di Dürrenmatt è trasposto in Marocco, dove diventa più soffocante, tra sudori, eccessive magrezze, eccessive grassezze, lingue sconosciute, e trame di tutti contro tutti. Nello stile affastellato, “centro-europeo” si può dire, del freudiano flusso di coscienza, esemplificato da Bernhard, 24 capitoli 24 lunghe frasi, ma senza urgenza interna, giusto per dare velocità a un racconto che – se proprio si vuole prenderlo sul serio – è un’apologia antibellica, neanche di buona lega retorica.
La gnoseologia del mondo che si sorveglia – tutti controllano tutti - non è male, una sorta di occhio diabolico, o del male. Ma la scenografia splatter rende il racconto, oltre che inutilmente arzigogolato, indigesto.
Friedrich Dürrenmatt, L’incarico, pp. 107€ 14
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