martedì 24 luglio 2012

Prepararsi al peggio

È fantascienza, ma bisogna prepararvisi. Era fantascienza la “stupidità” della Germania, e invece è qui. E non della massa imbelle o dei giornali scandalistici, ma della Bundesbank, degli economisti, del Bundestag, della Corte Costituzionale. Che razionalizzando si vorrebbe furbizia, ma è proprio stupidità: insieme con l’Europa svanisce la Germania. La metà europea e quella “cinese” o globalizzata.
Bisogna pensare e fare “come se” l’Europa non esistesse. Se non come mercato residuo: non marginale ma non esclusivo e alla fine, inevitabilmente, non prevalente. Bisogna cercare sponde nella globalizzazione, che finora non ha tradito, benché sospetta a molti. Con gli Usa, la stessa Cina e il resto dell’Asia, con l’America Latina, coi fondi arabi, con Putin – gli accordi con Putin, per quanto limitati, saranno stati l’unica cosa “sensata” (effettuabile, conveniente, di futuro) di Monti in otto mesi di governo.
Che l’euro possa resistere come marco, attorno alla Germania, al suo volubile Parlamento e all’impenetrabile Corte Federale, è illusione. In entrambi i casi. Che ci sia cioè una speculazione contro l’euro, o che l’euro crolli perché la Germania lo vuole. I due casi peraltro convergono: la speculazione non è un complotto di alcuni signori, ma un modo di porsi dei mercati in previsione del futuro, e i mercati del futuro operano come se l’euro non esistesse più, neanche sotto forma di marco. Il perché è semplice e dice che non c’è Germania senza l’euro, non più dopo l’euro e il fallimento dell’euro.
Essendo la Germania più o meno terra incognita, non si sa una cosa evidentissima: che la Germania considera l’Europa e l’euro come suo feudo. Come sue estensione benevola e ai suoi ordini. Questa Germania, di Berlino, dopo l’unificazione. Nessuno parla mai in Germania di interessi europei di cui la Germania è parte. Con l’eccezione di Helmut Schmidt, che ha 94 anni.
Il miracolo tedesco è peraltro transitorio. Si regge infatti su condizioni insostenibili. Sul resto dell’Ue che essa ha jugulato nei tre anni in cui la crisi è stata europea. Su quattro o cinque milioni di mini-retribuzioni per sostenere le esportazioni. Su un debito che solo un artificio contabile (trasferendo cioè tutta la spesa pubblica per l’economia, oggi 500 miliardi di euro, a un Kreditanstalt solo nominalmente di diritto privato) consente di dire contenuto. Finirà col crollo della domanda interna. E della domanda estera.
Buona parte del miracolo tedesco deriva storicamente dall’integrazione della parte meridionale della Germania, l’asse Monaco-Stoccarda, col Lombardo-Veneto, e quindi ne risentirà la crisi. Questo è il nocciolo del problema da risolvere: dare al Lombardo-Veneto una prospettiva produttiva non più tedesca, come è stato nell’ultimo mezzo secolo. È un problema italiano – che sia anche tedesco a questo punto non interessa e non risolve: dare altri sbocchi, trovare altre commesse, al lavoro italiano.
C’era un equivoco in questa Europa. Che fu solidale e convergente sotto le ferula degli Usa, con la politica del dollaro e la Nato, e la minaccia sovietica alle porte. Dissoltasi la minaccia, restano le spinte divergenti di sempre. Si può anche dire che la storia è come se non ci fosse stata, l’Europa è quella che era, rissosa - basta scorrere i giornali tedeschi, i più qualificati. Al Fondo Monetario Internazionale gli Usa faticano a calmare le impazienze delle nuove potenze economiche, dalla Cina al Brasile, che vorrebbero isolare o comunque trascurare l’Europa. È sempre stato più facile del resto fare affari negli Usa e con gli americani che in Francia o con i francesi, per non dire in Germania o con i tedeschi.

Nessun commento:

Posta un commento