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Capitalismo – “Una commistione di avidità e paura”, G.A.Cohen, “Socialismo, perché no?”. Si alimenta con l’insicurezza – il senso costante di mancanza, d’insufficienza. Che deriva dall’incertezza, di sé e del mondo (dell’essere). Che in altre epoche si copriva con la fede e l’obbedienza (l’unità).
Femminismo – Va insieme col leghismo, col ritorno al focolare? È la vecchia lettura di Bachofen, tra patriarcato e matriarcato, ma non astratta, l’osservazione di E. Jünger, “Maxima-Minima”, p. 27: “Con la muta di Gea, Anteo torna a guadagnate terreno su Eracle e affiorano nuovi segni. La terra si trasforma, da patria ridiviene luogo natio. I segni matriarcali acquistano potere”.
Opinione pubblica – “Le teste intelligenti tendono a sopravvalutare l’influenza delle opinioni, soprattutto il mezzo dell’ironia. Questo è un errore da cui non guariscono mai o troppo tardi – spesso solo quando, come Chamfort, cadono dall’albero che avevano segato”. Jünger si rallaccia a Nietzsche, per una volta senza citarlo, in “Maxima-Minima”, per spiegare gli effetti contrastanti dell’opinion pubblica, tra chi la forma, o le sue intenzioni, e chi la recepisce: “Tramite le opinioni non vengono costituite verità, bensì accertate realtà”.
Il concetto di public relations nasce e si conforma nella Grande Guerra, imponendo la nozione di “fare l’opinione”, sofisticando le tecniche e allargandone i capi di applicazione. Sul presupposto sempre della superiorità di chi ne gestisce l’elaborazione. Che Jünger riconduce all’ironia. I cui effetti sono noti da tempo – l’ironia dissecca: “Alla fine il processo ironico riporta sempre a un terreno nel quale le cose sono più forti della critica. Ne conseguono entusiasmo, annientamento, tabuizzazione dei luoghi comuni”.
Ozio – Non è una pausa dal lavoro. Non è una pausa, non ha a che fare con la scansione del tempo, feriale, festivo, diurno, notturno. È una disposizione, e in tempi di aggressività-depressione un anticorpo (difesa immunitaria).
È l’altra dimensione, l’n-ma, della realtà – dell’esistenza. Come l’arte, vivifica il tempo, nel lungo periodo e nelle commessure, alitandoci sopra.
Storia - Gewesen non è Vergangen, vuole Heidegger, essere stato non è essere passato. E invece sì. La storia si scrive. E scrivere è portare al presente il passato, anche l’inesistente. E al passato il presente, inesistente incluso. Oppure no, l’esistente può restare fuori della scrittura. Ma allora la storia crea i suoi materiali, dice Spengler che se ne intende.
Per Manzoni la storia è guerra illustre contro la morte. Di chi?
È la tirannia, di chi ha e sa. È la mano invisibile - o quella è il mercato? Questo vorrebbe Berni faceto: “Non ha proporzione annale o istoria\Che gli autentichi libri de’ mer-canti\Che so’ la vera idea della memoria”.
È azione, si dice - o erezione? O il cumulo dei fatti di Rensi. Ma va come l’acqua, dove trova la vena.
Poi c’è la storia occidentalista, degli orientalisti occidentali, che la vogliono inventata. A partire dal solito Schopenhauer, per il quale fanno la storia le risse europee. La storia e la cronologia sono scoperte occidentali, ribatte Borges, adepto di Schopenhauer e Budda. E come dargli torto: la storia è solo occidentale, intesa non come annali ma come democrazia, progresso, la costruzione del futuro. È cristiana, ma cominciò con l’essere ellenica, grazie ai barbari di Erodoto. La storia è dunque l’Occidente che viene dall’Oriente.
La storia è sconveniente, è stato detto. O viceversa, a sentire Croce: la storia non è giustiziera ma giustificatrice. Contro il parere di Ida Magli: “Nella facilità con cui vengono manipolati i dati storici è ben visibile il mondo mentale primitivo e sud-orientale in cui il tempo non è mai divenuto quella categoria «dura», inflessibile, legata allo spazio, non dominabile dall’uomo che contraddistingue il mondo moderno”. E dunque la storia non è moderna. A meno che il mondo moderno non sia occidentale.
La storia, ingiusta e cattiva, è stupida, e ci marcia. Ma perché sarebbe noiosa, se in gran parte è inventata?
La storia è una scemenza, disse Henry Ford. Negli Usa infatti non c’è.
La prima rivoluzione agricola è avvenuta nel Settecento. O la seconda, volendo considerare prima quella del neolitico, diecimila anni fa. Nel Settecento, quando si supponeva vagamente che un Medio Evo fosse esistito. Mentre del Rinascimento nessuno supponeva che ce ne fosse stato uno, si veniva educati alla filosofia delle vite nobili di Plutarco, e all’affettazione.
La storia è recente. Se è progresso è appena agli inizi, venendo da un incesto e un fratricidio.
zeulig@antiit.eu
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