La crisi dei giornali (dell’opinione pubblica) è vecchia di almeno vent’anni, se se ne scriveva:
“I giornali sono entrati in un ciclo di opposte follie, eccessivamente leggeri e eccessivamente impegnati, un mix di cui non si afferra il senso.
“Si può pensare che le paginate, giorno dopo giorno, stabilmente dedicate ai fatti di sesso di Woody Allen e dei reali inglesi, così come le deprecazioni dei partiti, della mafia, dell’inquinamento, dell’economia sollecitino l’interesse dei lettori. Ma non è così perché i lettori diminuiscono.
“In particolare restano freddi, dopo anni di battage e di Procura milanese, gli attacchi alla politica, sotto le forme del privatismo e dell’antipolitica – il privatismo come ricetta contro la corruzione? La politica risponde arroccandosi. Senza cioè utilizzare le armi che pure ha già a disposizione e che sarebbero micidiali: il costo elevato e la poca efficienza della medicina privata, della scuola privata, dei servizi idrici, energetici e postali privati. È probabile che giornali (i direttori) rappresentino solo l’ideologia della proprietà. Era inevitabile, una volta che i giornali sono tornati nell’alveo di interessi più grandi, e così è.
“Ma lo scollamento è visibile anche in televisione, dove gran parte dell’informazione è ancora pubblica. E allora? Sono i partiti all’origine di questo impasse, alcuni partiti contro altri? La Rai, è anche da dire, è da tempo un saprofita, va dove la portano i giornali – “la Repubblca” o il “Corriere della sera”. Un opportunismo da vecchia puttana”.
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